di Gabriele Bonafede
Nato Cassius Marcellus Clay, ovvero “argilla” in inglese, non poteva cognome essere più in contrasto con l’indole e il fisico: è stato il più grande pugile di tutti i tempi, campione sul ring e nella difesa dei diritti umani. “Cassius Clay” cambiò ben presto il nome in Muhammad Ali abbracciando la fede islamica e segnando un’epoca non solo per lo sport.
Tra noi vecchietti di almeno cinquant’anni è indimenticabile. Amavo il calcio e non mi piaceva la boxe, ma per mio padre era l’esatto opposto. Muhammad Ali era il nostro punto d’incontro: quasi imposta la boxe, su una partita di calcio in TV, non mi lagnavo affatto a vedere una sua battaglia. Così che i ricordi dei suoi guantoni, che uscivano micidiali da una montagna di carne forte come il ferro, rimangono vividi, eroici, nella mia memoria.
Se ne va oggi, portandosi tanti ricordi di quelle storie sul ring viste assieme in famiglia e che non torneranno mai più. Per noi ragazzini di 10-15 anni era il mito. Ed anche fonte d’ispirazione nella zuffa, davanti la scuola o per decidere una partita trasformata, in estemporanea, da calcio a boxe su un campo di terra battuta e senza corde sulle quali appoggiarsi. Mito dappertutto, perfino in un angolo del globo che si chiama Sicilia.
Muhammad Ali era grande, è stato e sarà sempre grande, perché ha incarnato la riscossa di fronte alle ingiustizie. Ali rappresentava la forza di una rivolta civile a suon di pugni nei confronti di un’America molto più razzista di quanto non sia oggi, nei confronti delle guerre d’imperialismo e nella lotta per i diritti.
Pugni “regolamentati”: Ali attacca, gragnuola di colpi spaventosi su altre montagne di carne… e l’arbitro ferma il massacro. Questo era quasi sempre il finale di un suo incontro. Ali segnava la sua rivolta a suon di pugni rilasciando energia con intelligenza e con un piano. Nulla era lasciato al caso, tanto da sorprendere i più in quell’incontro storico con Foreman nel 1974: subisce per cinque riprese e poi abbatte l’avversario via via più stremato nelle ultime tre. Fino a mandarlo al tappeto: tattica, piano, orgoglio, forza, intelligenza, c’era tutto nel Campione dei Campioni.
E non solo a suon di pugni ma, forse soprattutto, con l’intelligenza delle parole: “Ali, sai dov’è il Vietnam? Sì, in TV”. E poi la più grande delle sue frasi: “Non ho niente contro i vietnamiti, loro non mi hanno mai chiamato negro”.
Salvini è stato fortunato a non averlo incontrato. Il pavido Matteo sarebbe stato ridotto in poltiglia da Muhammad Ali. E non solo a cazzotti.
Le immagini nel testo sono tratte da questo video pubblicato su youtube:
L’immagine in copertina è tratta da un video dello stesso canale: