Lo spettacolo di Alberto Samonà tra i successi di pubblico al Segesta Teatro Festival 2024
di Maria Teresa de Sanctis
C’è tutto l’incanto dell’Oriente nel rito dello zikr, il fascino di antiche storie tratte da fiabe e poemi dell’Asia centrale, la seduzione delle musiche e danze sufi e persiane. Un invito alla scoperta della spiritualità dei dervisci in un luogo suggestivo e senza tempo, questo è ciò che anima “Il Derviscio di Bukhara”. Spettacolo ideato e diretto da Alberto Samonà, andato in scena lo scorso 13 agosto al Teatro Antico di Segesta all’interno del Segesta Teatro Festival 2024 diretto da Claudio Collovà.
Un insieme di fascinazioni su più piani di comunicazione dove parola, musica e danza si fondono insieme in un’unica armonia che avvolge e conquista lo spettatore rapito dal rito al quale sta assistendo. E il su citato zikr (anche zeckr o dhikr), atto devozionale nel quale la ripetizione di una data formula diventa preghiera, diventa strumento di trascendenza che ora nel gesto, ora nel testo, ora nella musica che conquista e seduce. Conducendo così lo spettatore in un universo di tradizioni lontane.
La musica, eseguita dal vivo dall’ottimo “Tito Rinesi & Ensemble Dargah”, con Tino Rinesi (voce, tamburo a cornice e saz), Piero Grassini (oud e voce), René Rashid Scheier (flauto ney) e Flavio Spotti (percussioni e voce), diventa un mondo sonoro nel quale danza e racconto danzante alimentano fascinose suggestioni.
Ora il magico gioco delle mani fluttuanti nella danza persiana dell’aggraziata danzatrice Grazia Cernuto, ora il samà, la danza sacra dei dervisci rotanti che nella tradizione sufi avvicina al divino, nel rigoroso misticismo della ballerina sufi Amal Oursana, incantano lo spettatore. Il quale si ritrova totalmente immerso in percezioni inusuali per noi. Anche la parola diventa elemento mistico grazie all’intensa interpretazione dei due attori presenti in scena a completamento della coinvolgente alchimia, Stefania Blandeburgo e Davide Colnaghi.
Il Derviscio di Bukhara, un omaggio alle tradizioni dell’Asia centrale
Uno spettacolo che vuole essere un omaggio alle tradizioni dell’Asia centrale, al fascino persiano e del magico Oriente e alla danza sacra dei dervisci rotanti. Ossia i danzatori sufi che aspirano alla trascendenza attraverso una disciplina di perfezionamento spirituale. Lo spettacolo riesce perfettamente nell’intento.
Infatti è con la danza del sufismo, una sorta di meditazione in movimento che permette la centratura e la sublimazione della sofferenza dell’ego, che si persegue un percorso mistico interiore alla ricerca di Dio. Mistico perché nascosto nel profondo dell’essere umano: dal greco myô, che significa “velare gli occhi, tener nascosto un segreto”.
E anche il titolo costituisce un atto di riverenza per questa tradizione lontana. Infatti la città di Bukhara, nota come città sacra dell’Uzbekistan e nodo della via della seta, fu uno dei principali centri di dervisci di quell’area. Rivestendo per secoli un ruolo molto rilevante a livello culturale in Asia centrale, è una città intrisa di spiritualità. Lo si evince anche da questo detto tradizionale uzbeko: “Samarcanda è la meraviglia della terra, ma Bukhara è la meraviglia dello spirito”.
In copertina, Amal Oursana. Foto di Giuseppe Di Salvo.