di Umberto Boccia
La stagione 2023-24 è ancora in corso di svolgimento e molti verdetti sono da scoprire. Ma è già tempo di tirare le somme per lo meno per i grandi club che rimangono con “zero tituli”, così da programmare il futuro fin da subito.
Nelle coppe europee devono essere decretati i tre vincitori delle manifestazioni continentali, con il merito di Atalanta e Fiorentina presenti in due finali su tre.
Per quanto riguarda l’Italia deve ancora essere assegnata la Coppa ed emessi i verdetti relativi alle retrocessioni e alle qualificazioni alle coppe della stagione prossima.
Gli unici dati certi sono la qualificazione di Milan e Bologna alla Champions League e la retrocessione della Salernitana. Quasi certa è la retrocessione del Sassuolo.
Ma soprattutto è certo lo scudetto dell’Inter, il principale rivale del Milan. È il diciannovesimo scudetto vinto dall’Inter sul campo, meritatamente in questa maratona chiamata campionato. Uno scudetto che ha permesso ai nerazzurri di conquistare la seconda stella grazie a uno vinto in passato a tavolino.
E il Milan? Conquista matematicamente il secondo in classifica sì, ma per tutta la stagione non si è capito se sia stato carne o pesce. Un Milan balordo che esce pesantemente sconfitto nel confronto con l’Inter, sia nei derby, sia nel bilancio stagionale.
Capace di regalare prove esaltanti con PSG in Champions o terrificanti come a Sassuolo o a Salerno. Oppure regalandosi la graticola del derby-scudetto. Una squadra che non ha mai avuto un’anima sin dall’avvento di Pioli. Non è giusto dire “Pioli-out” attenzione, ma neanche “Pioli ha fatto il miracolo”. No, probabilmente Pioli non era da considerare allenatore da Milan fin dall’inizio.
Il balordo Milan di Pioli: fin dall’inizio
Non dimentichiamoci che prima dell’“Ibra-2” (stagione 2019-2020), Pioli perdeva 5 a 0 a Bergamo. Solo dal ritorno di Ibrahimovic in poi, la musica cambiò. Complice il Covid e gli stadi chiusi, i giovani potevano esprimersi senza pressione e arrivò la qualificazione in Champions. Grazie anche al fatto che fu Ibra a richiedere di cambio di modulo, da 4-3-3 a 4-2-3-1.
Addirittura, l’anno seguente, arrivò il diciannovesimo scudetto rossonero sempre grazie alla presenza in campo di Ibrahimović . Ricordiamo che Zlatan è quello che nel 2011 fece fare dieci gol a Nocerino in pochi mesi. Un ottimo giocatore, Nocerino. Ma che fino a quella stagione aveva segnato solo sette gol in dieci anni.
Con Ibra, Rebic segnava una media di dodici gol per girone, senza di lui uno solo. Con Ibra è stato prolifico persino Tonali. Insomma Zlatan uomo-squadra, campione e fondamentale per gli inserimenti dei compagni: di fatto, fa vincere lo scudetto al Milan di Pioli nel 2022.
Partito Ibra, il Milan si affida al “fenomeno” Rafael Leão. Sopravvalutato fino a 150 milioni, il ciondolante ragazzone, dati alla mano, segna solo un goal ogni cinque-sei partite. E quanti ne sbaglia non lo sapremo mai.
Certo, quando Leao tira all’incrocio lo vedono tutti nel minuto e mezzo di sintesi domenicale. Ma in una partita perde dai sette agli otto facili palloni non passando la palla, crossando da sinistra col destro e buttando la sfera a casaccio in area. Sempre che gli vada bene e arrivi sul fondo, altrimenti perde palla o cade.
In Europa League un De Rossi sveglio, memore solo di qualche panchina con la Spal, gli ha raddoppiato la marcatura e ciao Leao: gioco del Milan finito.
Balordo Milan di Pioli: la gestione dell’organico
Stefano Pioli ha anche commesso l’errore di spompare Hernandez da tre anni a questa parte. Il francese corre come un matto sulla fascia da settembre a marzo arrivando esausto in primavera. Pioli ha fiducia smisurata a Krunic che fa tutti i ruoli. Male ma li fa tutti. Via Chalanoglu a parametro zero (brava la dirigenza!), prende Adli che lascia in panchina un anno e mezzo. Poi lo fa giocare. Gioca bene, ma finisce di nuovo in panchina. È così pure col difensore Simic, oppure con Okafor che entra e segna e poi la partita dopo è in panchina.
Il rimpianto più grosso è CDK, De Kateleare: 1480 minuti la media di trentasette a partita con il Milan, titolare e sostituito, subentrante per pochi minuti, panchinaro e così via. Pagato 35 milioni, a Bergamo gli viene data la fiducia che merita. Gioca titolare, segna e crossa che è un piacere. E così la Dea è in Finale di Europa League e Coppa Italia.
Pioli dimostra di non sapere leggere la partita in corso perché non fa cambi. E quando li fa non cambia schema e sono sempre gli stessi. Quando è sotto di tre goal con la Roma in Europa League avrebbe dovuto mettere dentro cinque centravanti come faceva Mourinho, mal che vada ne avrebbe preso un altro. Invece, niente. Reazione moscia, niente carattere, niente idee. Niente.
Troppi errori per un club protagonista
Le altre big d’Europa hanno un piano serio di investimento sui giovani e parlo dei vari Musiala, Garnacho, Bellingham, Yamal entrati nelle rispettive squadre e diventati protagonisti. A Milano sponda rossonera, invece, vedi giovani lanciati in prima squadra per poi essere dati via da professionisti, giusto per fare cassa. Pensiamo a Colombo a Daniel Maldini… era il caso di prendere Lazetic? O peggio ancora Origi?
Allora ha ragione la Curva Sud Milano che già allo Stadium con la Juve ha “scioperato”. La pazienza è finita. Ci vogliono innesti importanti, giocatori sui quali contare, non prestiti fasulli come Diaz o Jimenez che tornano alla casa madre.
E meno male che il 38enne Giroud ha tirato il carretto e fatto i suoi “golletti”. Altrimenti la stagione sarebbe stata peggiore del solito. Ma anche lì: se ne va ai Galaxy? Ma si dovrebbe spingere sui giocatori che rimarranno, o no?
E allora esce fuori un Milan moscio, sgonfio e senza carattere. Che si fa festeggiare in faccia una stella e uno scudetto dai gongolanti cugini interisti. C’è un Hernandez con un piede al Bayern e un “fenomeno” come Leao che passeggia in campo offeso. Che vuole essere ceduto perché segna ed è il leader…
Lopetegui, Fonseca, Del Neri, Pochettino nuovi allenatori? Per carità. Al Milan serve un timoniere forte, un allenatore con idee, l’allenatore vorrà i giocatori: bene ben vengano. Che la società si dia da fare finalmente. “Milano non si accontenta”, dice la SUD.
Ma per essere protagonisti ci vuole soprattutto un timoniere. Uno esperto di calcio, che abbia un gioco, che non si affidi ai singoli, ma abbia una sua idea tattica. Onore e tradizione sono i pilastri di una bandiera rossonera che ambisca a sventolare vittoriosa, altrimenti sarà un altro anno balordo, balordo Milan.
Credit foto: Marco Cavalieri, Gianfranco Giordano