di Francesco Randazzo
Arriva sempre il momento in cui bisogna uccidere Babbo Natale. Non esiste, si dice, e zac – morto! I bambini crescono e si deve farlo, sennò non crescono bene, insomma non è che si può rischiare di avere un figlio che a trent’anni crede ancora che un panciuto signore vestito di rosso voli fino a casa sua per portargli un regalo di Natale! Quindi sbrigativamente o con molto tatto si deve ammazzarlo.
Io non ce l’ho fatta. Mio figlio poco prima di Natale scriveva la sua letterina e alla vigilia stava in trepidante attesa, un po’ preoccupato perché non avevamo il camino dal quale Babbo Natale sarebbe dovuto scendere.
“Vedrai che li lascerà dietro la porta di casa”, gli dissi la prima volta. “E come facciamo a sapere che li ha lasciati?” Mi chiese lui. “Bussa e scappa via”, risposi. “L’importante è non sbirciare, bisogna aver pazienza e aspettare.” ” A che ora arriva?” “Intorno a mezzanotte”.
Mia moglie preparava il pacchetto (io sono negato e faccio pacchetti che sembrano devastati dagli elefanti) e lo nascondeva. La sera di Natale mettevo il regalo fuori dalla porta e a mezzanotte, di nascosto, davo dei gran colpi e facevo il vocione da cartone animato.
Poi riprendevo la mia voce e chiamavo mio figlio: “È venuto! Ha bussato! Vieni, apriamo la porta, vediamo.” Lui era elettrizzato ma esitava ancora qualche istante perché voleva dargli il tempo di andarsene senza essere visto, per non offenderlo. Apriva la porta, prima col mio aiuto, poi da solo e la magia era là, concreta e straordinaria, avvolta nella carta regalo luccicante!
Il vero regalo però era quell’attesa, il mistero, la speranza e l’illusione che si sarebbero compiute. Io vedevo quel bambino completamente e innocentemente ammaliato da questa creatura immaginaria che per lui era fantastica e reale insieme, e trepidavo con lui. Pur sapendo che ero io a imbastire tutta quella commediola natalizia, alla fine mi sentivo elettrizzato come se fossi tornato bambino anche io.
Ma gli anni volano e mio figlio era ormai quasi un ragazzino che credeva ancora a Babbo Natale. Qualcuno dei suoi compagni di scuola aveva detto: “Non esiste! Ancora ci credi?”
Ma lui gli aveva risposto per le rime, dicendogli che esisteva, che viveva vicino al Polo Nord e aveva un indirizzo al quale si poteva scrivere e su Internet c’erano anche le foto. Il che era vero. Vinse il round però gli restò il dubbio e tornò a casa col broncio.
“Cos’hai?” Gli abbiamo chiesto. “Cosa è successo?” Lui, serissimo, arrabbiato ma sull’orlo del pianto: “Dicono che Babbo Natale non esiste. È vero, papà? È vero, mamma?”
Quello sarebbe stato il momento giusto, bastava dire sì. Però, non ce l’ho fatta. Avrei tradito quel bambino, avrei ucciso tutta la meraviglia e la magia, tutta la fiducia incondizionata che nutriva per me e per sua madre. E avrei ammazzato quel povero pancione immaginario che per tanti anni ci aveva fatto visita, rendendolo, rendendoci felici. Anche se immaginario, non volevo quel cadavere enorme stramazzato dietro la porta, schiantato sul piccolo cuore di mio figlio.
Quindi ho risposto: “No, non è vero, esiste. Se tu ci credi esiste, come tutte le magie, il tuo compagno non ci crede e per lui non esiste, tu ci credi e per te esiste.”
Stavo per citare la famosa battuta di Amleto a Orazio: “Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia.” Ma mi sono fermato in tempo, perché ho realizzato che mi ero cacciato in un bel pasticcio. Adesso come avrei fatto a risolverlo?
Il bambino di fronte a me aveva ritrovato il suo sorriso e per adesso andava bene, ero felice di averlo reso felice.
Sono passati, credo, ancora due anni ed è arrivato il momento, ineludibile. Babbo Natale andava eliminato. Ma come?
Ci odierà – dicevamo tra noi, io e mia moglie. Bisogna farlo, è troppo grande. Sì, però. A trent’anni andrà dall’analista. Perché gli abbiamo ammazzato Babbo Natale. O perché ancora ci crederà se adesso non gli diciamo che non esiste. Lui, intanto, aveva già scritto quella che sarebbe stata la sua ultima letterina di Natale.
È sempre stato un bravo bambino, quindi il regalo già comprato e impacchettato stava nascosto in un angolo recondito dell’armadio. E Babbo Natale sarebbe arrivato. Però poi doveva sparire per sempre…
Allora ho avuto l’illuminazione. Non avrei ucciso Babbo Natale, non ce n’era bisogno. Dovevo solo ordire un rito di passaggio, altrettanto magico, verso la realtà, senza uccidere l’illusione ma trasformandola.
Di nascosto ho tirato fuori la letterina che aveva scritto e che da qualche anno imbustava lui stesso e scriveva l’indirizzo di non so più quale luogo artico o scandinavo e che fingevo d’imbucare nella cassetta della posta.
Sono andato a cercare il sito di Babbo Natale, ho scaricato loghi, bolli e timbri vari. E su carta intestata della casa nordica del più grande amico di tutti i bambini nel mondo, ho scritto una lettera di risposta a mio figlio.
Era un affettuoso commiato, il grande vecchio gli diceva che era stato felice di rallegrare ogni Natale, portandogli un regalo che meritava, si complimentava con lui perché era stato un bravo bambino che aveva reso orgogliosi i suoi genitori e anche lui ne era compiaciuto.
Ma gli diceva anche che adesso era cresciuto e che quello era l’ultimo Natale in cui sarebbe venuto a trovarlo. Negli anni a venire avrebbe festeggiato il Natale e scambiato i regali con mamma e papà, come fanno i ragazzi grandi. Era necessario, anche perché se avesse dovuto continuare a far visita ai grandi non ce l’avrebbe fatta, troppi regali, troppi viaggi, e sarebbe andata a scapito dei nuovi bambini che sempre arrivano al mondo.
Diceva tante altre cose, non le ricordo tutte. Ci misi un bel po’ a scriverla, ma alla fine era proprio una bella lettera affettuosa, un commiato deciso, ma con tenerezza, un invito a crescere e continuare a far bene.
La lettera arrivò per magia, mio figlio la aprì e la lesse. Un’ombra di tristezza gli passò sul volto. Controllò la busta, il francobollo, l’affrancatura. Babbo Natale gli aveva scritto. Ci guardò, aveva gli occhi lucidi, un’espressione seria, sospirò, sospirammo e finalmente sorrise. Fu un Natale bellissimo.
Non ne abbiamo più parlato. Sono passati molti anni, tra un anno e mezzo sarà maggiorenne, ed è un giovane uomo con i piedi posati per terra e la testa un po’ tra le nuvole. A volte è molto serio, a volte è di un’allegria straordinaria, a volte ha dei momenti di leggerezza quasi magica o momenti di tenerezza improvvisi. Come quando mi guarda come se fossi Babbo Natale o gioca e scherza con sua madre come se fossero due elfi. Non solo a Natale.
In copertina, foto tratta da Unsplash. Photo by hue12 photography on Unsplash