Viaggio nel paesaggio fotografico dello scrittore. Ovvero, nessuno banalizzi Montalbano
di Anna Fici
Mi sono messa in un bel guaio lanciando sui social questo pensiero e promettendo di approfondirlo. Perché il tema è vastissimo e l’estate rende le mie sinapsi desiderose di buttarsi a mare. Proprio come quelle del pubblico di Montalbano già ai primi frame della sigla. Ma ho agito d’impulso e ora “me lo accollo”.
La letteratura di Camilleri, che ovviamente non si esaurisce nei romanzi che hanno Montalbano come protagonista, è tra le più fotografiche. Nel senso che l’evocazione visiva messa in atto dalla parola è fortissima sia per i siciliani che, attraverso lui si sono potuti riconciliare con i propri archetipi, sia per i non siciliani che hanno trovato occasione di riscoprirci.
Camilleri ha permesso a tutti di scavare sotto le macerie della cronaca e della mala informazione che si ingrassa di stereotipi e trovare i tesori che una cultura ricca, complessa, millenaria possiede ancora, restituendogli esistenza e potere d’azione sulle coscienze. Ci ha dato voglia di prenderci più cura di noi.
Andrea Camilleri e i luoghi della Sicilia letteraria
Se si cerca su Google “Turismo luoghi Montalbano” si apre un mondo. Tanto straordinario è stato il successo della Sicilia letteraria e televisiva di Camilleri che la stessa casa editrice Sellerio, nel 2007, ha pensato bene di pubblicare un volume collettaneo dal titolo “I luoghi del commissario Montalbano. Una guida”, definito “il primo atlante della geografia del commissario più famoso, costruito per sovrapposizione della fantasia sui luoghi reali, scoprendo che la fantasia diventa una guida dettagliata oltre che seducente”. Ma non dico nulla di nuovo.
Quando si parla di fotografia della Sicilia in riferimento a Camilleri e a Montalbano, bisogna distinguere almeno tre ambiti. C’è la lingua sensorialmente satura dell’autore che ci fa vedere la “verandina”, la “pasta n’casciata” di cui percepiamo anche l’odore… la “pilaja” dorata su cui si affaccia il commissario a bere whisky e pensare ai “cabasisi” suoi.
C’è la fotografia televisiva della fiction che, pur senza eccessiva enfasi, ancor più di Camilleri, si è spesa nel ricercare luoghi e atmosfere, passando a setaccio la realtà degli abusivismi e delle brutture con cui il nostro territorio confonde lo sguardo di chi lo vive quotidianamente.
Se Camilleri parla di “verandina”, non discostandosi troppo dalla realtà delle case di paese di costruzione più recente e da quella delle nostre periferie urbane di edilizia popolare, Alberto Sironi (il regista della “fiction”), ci mostra una terrazza con una invidiabile posizione sul mare. Un mare aperto, chiaro, trasparente, spingendo così sul pedale del recupero di un’idea di Sicilia e sicilianità che ha a che fare con l’essere ancora un po’ un mondo a parte, con le sue “selvaggitudini” irredimibili.
I temi, “le cose”, la fotografia
I temi che si affrontano nelle trame sono molto attuali, e di tanto in tanto Camilleri prende posizione sulle cose del nostro mondo attraverso la voce del suo protagonista. Ma l’immagine, usando con maestria la ricerca della giusta distanza, senza nascondere troppo la realtà delle cose, si avvicina solo a ciò che resta intatto, a ciò che, reduce dalla nostra lunga e complessa storia, è ancora là, integro.
Già dalla sigla che ci mostra il paesaggio dall’altro, non privo di case, casupole e difformità, non si mente allo spettatore ma lo si induce a cogliere che persino quella difformità non placa, non riduce la luminescenza e la possanza del mare tutt’attorno, non riduce il nostro desiderio di bellezza.
Alberto Sironi e Franco Lecca (Direttore della fotografia) giocano con l’imperfezione relativizzandola e usando un continuo rimando tra l’integrità percepibile alla vista e l’integrità morale dei personaggi, non bacchettona – tranne che nel caso dell’ispettore Fazio, che infatti fa spesso spazientire il commissario che pure ne ha una elevatissima considerazione – non avulsa da debolezze e contraddizioni, proprio come il paesaggio.
Il Sironi che interpreta Camilleri è un po’ come un bambino che vive sul mare e che dopo una lunga ed energica tempesta, esce in spiaggia a disseppellire conchiglie integre e dai colori splendenti. Ed è felice quando le trova.
C’è poi la fotografia dei suoi fans italiani e stranieri, legata al turismo che i romanzi hanno smosso. Su Instagram gli hashtag correlati a Montalbano che ci danno la possibilità di visionare foto e video sono davvero tanti. E le associazioni semantiche fatte dagli utenti al matrimonio, al potere dell’amore, ai fiori, al tramonto e al mare ci danno un’idea abbastanza precisa di come la realtà creata da Camilleri abbia liberato un’energia straordinaria abbattendo i tabù che, prima di lui, avevano agito come dei veri e propri muri divisori tra gli status culturali degli italiani e non solo.
Soggetti e paesaggi di Andrea Camilleri
I soggetti, i paesaggi, i tagli, i colori delle foto corrispondenti a quegli hashtag, sembrano liberati dalla vergogna “colta” di una fotografia seduttiva sul piano estetico. Prima di Camilleri e del suo Montalbano la formazione culturale dei ceti più elevati, dal punto di vista visuale, si era consolidata sul rifiuto della cartolina e dell’immagine cartolinesca, definita banale, stereotipata, priva della dignità assegnata alla fotografia di ricerca.
Mentre i ceti più popolari sembravano i destinatari dei cuscini e dei portapenne con il tramonto stampato sopra. Ma chi lo ha detto che le cartoline siano soltanto un condensato di banalità? Rimando volentieri ad un articolo di Michele Smargiassi che si pone questa stessa domanda, dal titolo “Le cartoline lo avevano già capito”.
Inoltre, le fotografie, i selfie scattati e condivisi dagli utenti dei social sono cartoline un po’ diverse da quelle tradizionali, postali per intenderci. Perché sono autoprodotte e, in quanto tali, mescolano ciò che è diventato “tipico” di quei luoghi e di quelle narrazioni (dunque il faro, la casa, il commissariato, la trattoria sul mare…) con l’esperienza viva dell’essere lì e con la voglia di comunicarla.
I visitatori, pur immersi nella realtà dei luoghi, vedono ciò che Camilleri e Sironi gli hanno voluto far vedere. Ovvero relativizzano le brutture e credono, sia pur solo nell’arco di una vacanza, che un mondo più selvaggio, meno imbrigliato in logiche commerciali – non ci sono quasi mai insegne di negozi, brand in bella vista. Forse solo qualche bar e la trattoria come omaggio alla “fame” di Maigret – e più ricco di panchine al sole e di scogli su cui sedersi a pensare, sia ancora lì che li aspetta.
Letteratura, TV e immaginario comune
Camilleri, sia nella dimensione originaria e puramente letteraria, sia nel matrimonio consolidato con la Rai, ha veramente incarnato l’idea di “arte media” coniata da Bourdieu a proposito della fotografia del primo Novecento.
Ovvero un’arte capace di mediare tra le differenze. Capace di ridisegnare un immaginario comune, in un momento in cui tutto spinge verso la rimozione delle vere identità a tutto vantaggio di quella pseudo-comunanza che di fatto è omologazione.
La sua forza è inversamente proporzionale alla forza centrifuga della globalizzazione e dell’accelerazione sociale che proiettano tutte le nostre memorie, tutti i “topoi” della coscienza collettiva verso una dimensione ancora sconosciuta. Che dovremo imparare ad abitare e che forse riusciremo a umanizzare anche senza la caponata di Adelina o la parmigiana di nostra nonna.
La particolare lingua di Andrea Camilleri ha condotto i lettori ad una esperienza fotografica verosimile. La categoria del verosimile, posta tra il vero e l’immaginario, attinge da entrambi. Il bello che la sua letteratura e la fotografia televisiva ci lasciano intravvedere, è un bello possibile, plausibile, che le parole e le inquadrature ci aiutano semplicemente ad isolare perché è già la e basta inquadrarlo con l’obiettivo giusto.
Il fatto che Ragusa Ibla, Scicli, Punta Secca, appaiano pulite e prive di traffico, non è banale cartolina. E’ dare vita all’immagine latente, indicando alla coscienza collettiva il possibile sviluppo.
Tutto questo è affrontato senza mai cadere nell’Amarcord. Perché il Maestro ha sempre guardato avanti. L’immagine latente non è il passato ma una possibilità del presente e del futuro.
Andrea Camilleri ha compreso tra i primi il potere della televisione e, da uomo di teatro, non soltanto non l’ha snobbata ma vi ha investito gran parte del proprio tempo e della propria carriera. E non ha mai avuto, nemmeno a novantatré anni, espressioni di rimpianto verso “le cose di una volta”. Anzi, si è rivolto anche ai social network (“Non in mio nome”) comprendendone la logica e adottandone il linguaggio, per raggiungere tutti con le sue posizioni in merito alla politica e al problema dei migranti. E di questo lo ringrazio di persona personalmente!
In copertina, la costa nella zona di Siculiana, (Comune vicino Porto Empedocle), foto di Anna Fici.
Una pagina così piacevole da leggere e così condivisibile che rimpiango solo le mie scarse capagità descrittive e di scrittura per non aver saputo esprimere coì bene e con tanto rilievo,sensazioni e idee che pure macinavo e macino,quando leggo Camilleri.Ha fatto molto bene alla Sicilia,ai siciliani non snob che criticano la qualità del linguaggio fra dialetto improbabile,dicono,e la lingua del bel paese.Non sono siciliana per nascita ma per scelta e adozione,e lo ritengo un privileggio perla ricchezza che questa terra ha dato e continua ad elargire a mani piene,attraverso chi ne scrive,chi la ama,chi sà cogliere anche fra i nodi di una trama contrastante ed ingarbugliata ,fili preziosi che, come nel labirinto di Arianna,con pazienza portano a scoperte fantastiche,a punti di vista impensati,a panorami di luce e di grande speranza.