Le fredde cifre del mercato del lavoro 2019 sconfessano la politica penta-stellata e del “Decreto Dignità”
di Vincenzo Pino
A novembre 2018, dopo una confusa fase transitoria, il cosiddetto “Decreto Dignità” è entrato pienamente in vigore. I risultati certificati dall’Istat nel primo trimestre 2019, offrono il risultato opposto di quello che si era prefissato il provvedimento. Altro che “Sarà un anno bellissimo”.
Ci sono, infatti, a fronte di 14 mila occupati in meno, 33mila posti di lavoro fissi perduti. Ergo, se la matematica non è una opinione si sono perduti 19 mila occupati stabili mentre quelli a tempo determinato aumentano della stessa misura.
Che ci sia qualcuno disponibile a spiegarglielo a Di Maio perché lui lo capisca è impresa al limite del sovrumano ma lo stesso si dovrebbe dire di quelli che nell’ambito della sinistra hanno contribuito in qualche modo ad un provvedimento di tal fatta.
Mi riferisco ad ambienti giuslavoristi della Cgil, come testimoniato da Cazzola sul Foglio. Ovvero alle testimonianze di Damiano ed Orlando per i quali il cosiddetto decreto dignità metteva sulla difensiva il mondo della sinistra perché avrebbe tutelato il lavoro precario a differenza di quanto fatto dai governi a guida Pd con il Jobs Act in particolare.
Non so a quale corrente di pensiero si siano ispirati tutti costoro. Forse sono rimasti al tempo dell’imponibile di mano d’opera nel mondo bracciantile dell’immediato dopoguerra. Solo così non si può cogliere quello che il Presidente di Confindustria ha chiaramente spiegato a in mezz’ora, non più di qualche giorno fa.
E cioè che di fronte alla limitazione ad un solo anno senza vincoli del contratto a tempo determinato, le imprese alla scadenza tendono a sostituire i soggetti contrattualizzati per evitare la motivazione alla proroga ed i possibili ricorsi giudiziari alla stessa.
Non ci voleva un’arca di scienza per sapere che sarebbe finita così, come dimostrano i dati di oggi.
Forse nella visione penta-stellata permane uno statalismo onnipotente che vorrebbe imporre norme coattive alle imprese, allora le hanno chiamato gli imprenditori “prenditori”. Accompagnati in questa missione, i Cinque Stelle, dal coro degli ideologi di certa sinistra politica e certo sindacalismo fermo agli anni ‘50 del secolo scorso.
Uno statalismo ipocrita, peraltro, se è vero che il governo ricorre al più bieco precariato per assumere lavoratori, come la vicenda dei navigator dimostra. Questi “navigator”, avranno la forma giuridica più arretrata per quanto riguarda lo status lavorativo: quello delle collaborazioni, che li faranno assomigliare ai riders. Ma su questo c’è il silenzio da parte dei “puristi” della sinistra.
Per fortuna che c’è proprio il Jobs Act che limita le forme di collaborazione precaria all’articolo 2 del Dlgs 81/2015.
E forse i “navigator”, incaricati e resi precari dai Ministro del Lavoro, potranno fare azione legale, come fatto appunto dai riders. E così, con le norme del Jobs Act, ottenere una qualche forma di riconoscimento che li assimilerebbe al lavoro dipendente. Come realizzato con successo nella causa intentata e vinta a Torino dai lavoratori di Foodora, richiamandosi appunto al Jobs Act. Altro che norme da inserire nel decreto dignità, come promesso da Di Maio e mai fatto…
La narrazione fatta in questo anno da Di Maio sul mercato del lavoro è il più lampante esempio di incompetenza e ignoranza, come i fatti e le cifre dimostrano.
Ci sarà qualcuno tra quelli che hanno sostenuto il decreto dignità che ne prenderà atto? Oppure continueranno a recitare le litanie per cui sarebbe il Jobs Act il colpevole di tutto tentando di ribaltare ancora una volta la realtà provata?
Ad oggi, è proprio il Jobs Act che può limitare disoccupazione e precariato fomentati da questo governo e in particolare dal Ministro del Lavoro, che è più corretto chiamare Ministro della Disoccpazione.