di Gabriele Bonafede
Hanno già fatto man bassa di poltrone: presidenze di Camera e Senato, vicepresidenze, vice-vice presidenze, commissioni, poltroncine, poltroncinette e poltroncinettine. Persino i divani. Di Maio e Salvini si stanno spartendo cento e più poltrone in parlamento e presto lo faranno anche nel governo, nel sottogoverno e nel sotto-sotto governo.
Ma cosa c’è sotto? Ci sono altre cento poltrone: quelle dei seggi. Sono infatti cento i seggi che il Movimento Cinque Stelle deve riuscire a racimolare, più o meno, per avere una maggioranza. Sarebbero teoricamente cinquanta quelle che deve racimolare il centrodestra. Ma diventano cento e più senza Forza Italia, scontata dai suoi eventuali fuoriusciti.
Se cento più cento dà duecento, è quindi chiaro che il governo lo farebbero Salvini e Di Maio, dividendosi il potere e beffando gran parte del proprio elettorato, chi più chi meno. D’altronde, è credibile l’ipotesi che si torni a votare nel giro di pochi mesi? Quali sarebbero i neo eletti e i plurieletti a rischiare nuove elezioni, sia pure con sondaggi favorevoli? Praticamente nessuno e sicuramente meno di cento.
Si profila quindi sempre più l’ipotesi di un governo Lega-Cinque Stelle che sarebbe un governo purchessia. O meglio, un governo delle poltrone, un governo della casta che più casta non si può, un governo da Prima Repubblica e forse anche prima…
Anche prima? Cioè al fascismo? Questo lo si capirà quando uno dei due avrà per sé tutte e cento le poltrone. Uno dei due.
Cento poltrone per due, dunque, in una pellicola già vista ma che gli italiani fanno finta di non aver visto. Cento poltrone per due leader che non sembra vogliano mollare la presa su cose e poltrone. Il governo delle cento poltrone. Il governo della spartizione del potere purchessia. Il governo dell’inciucio a murales predestinato, che dovrà governare dopo aver raccolto voti con mille e non più mille slogan anti governativi, purchessia. Un governo che sarà essere longevo, abbastanza da durare per tutta la legislatura, tra una balneazione e l’altra, tra un rigore e l’altro e tra un litigio e l’altro.
Sarebbe il caso che il PD entrasse in questo inciucio a spartizione continua? Oppure in un altro governo purchessia? O, peggio, sostenere “dall’esterno” qualche altro esperimento da incubo? La domanda ha una sola risposta: No. Perché, a meno di miracoli esterni, qualunque soluzione con questi numeri si profilerebbe come un governo spaventoso: culturalmente, economicamente, socialmente, per non dire altro.
Sarebbe un governo “all’italiana”, con patto tra Settentrione e Mezzogiorno sulla base della capillare spartizione finanziaria, geografica e para-istituzionale. Chissà se non si arriverà a spartirsi pure i chiodi dei muri, i pomelli delle porte e i tappetini all’entrata dei palazzi.
La nuova supercasta italiana sarà divisa comunque in due caste, tra loro alleate mentre si guardano in cagnesco, abbaiando senza mordere. Ululando senza azzannare i membri dei due gruppi. Lasciando gli italiani a curarsi dalle delusioni. E ad arrangiarsi, come da DNA scolpito in corpo e mente da tempo immemore, prima ancora dei comizi alla Totò.
Gli elettori? Chi se ne infischia. E poi le poltrone possono sempre portare voti, sempre e comunque, alle prossime elezioni. Che saranno tra cinque anni, checché.
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