di Giovanni Rosciglione
Il Movimento Cinque Stelle ha testato la sua strategia in Sicilia, perché la mia Isola è da sempre il “ventre molle” del Paese. Qui ha avuto i primi exploit; è in Sicilia che Grillo ha deciso di arrivare a nuoto dall’altra parte dello stretto, interpretando, anche plasticamente, l’occupazione della terra promessa della nuova postpolitica.
È qui che Di Maio, Di Battista, Cancelleri e la brigata delle firme false hanno piantato le tende da anni e persino trovato le fidanzate.
È qui che – nel silenzio generale dei mezzi di comunicazione e dei finti intellettuali, pensatori, politologi anche di ipersinistra – hanno impunemente predicato il ribellismo plebeo, coccolato le pance del popolo con soffici promesse di condoni di necessità. È qui in Sicilia che i Cinque Stelle hanno urlato anatemi contro tutti (e quindi, contro nessuno) e, nel frattempo usato, per strutturarsi, la medesima logica familistica della più luccicante metodologia da Prima Repubblica.
Basta guardare il loro gruppo dirigente, la catena di parenti, mogli, cognati e fidanzati, piazzati a Sala d’Ercole, a Montecitorio, a Palazzo Madama e nei Comuni.
È nell’antica Trinacria, così come nello splendore della Magna Grecia, che hanno raggiunto il massimo dei consensi nazionali, superando anche il 50% in alcuni territori. Alcuni dei quali sono proprio quelli che, di solito, alacri analisti definiscono a “più alta densità mafiosa”. Farlocche primarie lasciate cadere da una incommensurabile piattaforma informatica per scegliere un Imperatore con 12 voti ed espellere chi “disturbava il traffico”.
E, per mettere lo zucchero sopra il dolce, hanno promesso a un popolo di sudditi felici uno stipendio per tutti e tutti, ma proprio tutti, a carico sempre di quel 36% di cittadini che le tasse le paga.
Infine, per dare una verniciata al cadavere della politica, hanno assoldato pure Arcigni e disinvolti Custodi della pubblica morale, che hanno confermato sentenze di condanna per tutti e, nell’attesa di finire di leggere i diari di Azeglio Ciampi, hanno trovato il tempo di partecipare alle loro sagre, assistere ai loro spettacoli falloforici e vergare le nuove tavole della Giustizia di Rousseau.
La Sicilia non è di destra, di centro o di sinistra. Da noi non sono i programmi della politica a imporre decisioni o cambiamenti. Ma, al contrario, è il granitico sistema feudale della Classe Digerente locale che plasma a sua volontà un sistema politico debole, confuso e autoreferenziale. Sostanzialmente senza vere differenze comportamentali e programmatiche.
Il tutto sotto la protezione costituzionale di uno Statuto Speciale che tecnicamente obbliga al Consociativismo perenne e culturalmente premia la fedeltà al sistema feudale.
Qui non ci sono (e mai comunque hanno goduto del favore popolare) veri partiti che hanno avuto la capacità di disegnare plausibili progetti di cambiamento o che hanno realmente selezionato classi dirigenti responsabili.
Qui in Sicilia, il vero scandalo non è tanto l’ipertrofico numero di portaborse assunti dall’Assemblea Regionale, ma è quello che sono proprio i portaborse ad essere eletti deputati, consiglieri o Presidenti di Enti e Istituti.
È dunque qui che, nel silenzio generale, poi ci si meraviglia. Ci si meraviglia, con pelosa ingenuità, che non ci sia una vera struttura politica che risponda alle rigorose e stringenti idee del riformismo democratico e responsabile, con tutto il carico di passione, coerenza e volontà che questo tipo di politica comporta.
Io, ma faccio il furbo perché so che è impossibile, metterei come unico punto di partenza per un appoggio ai 5 stelle per un governo nazionale di rinnovamento quello di abolire lo statuto speciale della Sicilia.
PS Non penso assolutamente che tutti quelli che hanno votato per i 5 stelle siano ignoranti, antidemocratici o, addirittura, filo mafiosi. Non lo penso perché so bene quanta gente (soprattutto giovani) è mortificata e disgustata da questa politica. Anch’io ho figli che sono scappati dall’Isola per proteggere la loro dignità. Ma penso che quella di affidarsi a un movimento politico che in realtà non porta nulla di nuovo, è una scelta che peggiorerà per prime le condizioni proprio di quelli che hanno invece bisogno di una vera ed efficace buona politica.