di Gabriele Bonafede
Dal 27 febbraio all’1 marzo, quindi per tre sole rappresentazioni, andrà in scena alla sala Strehler del Teatro Biondo di Palermo lo spettacolo De revolutionibus di e con Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi. I due attori comici, con un carro di Tespi, “giocheranno” sui personaggi di due Operette morali di Giacomo Leopardi (Il Copernico e Galantuomo e Mondo).
Non so in quanti ci ricordiamo il testo di queste due particolari “operette” di Leopardi, tra quelle che dipingono in maniera sublime il suo “pessimismo cosmico”. A rileggerle e a vederle riproposte dal Teatro Biondo, oggi, non può non saltare all’occhio la straordinaria pertinenza.
In un mondo che sembra andare “al contrario”, drogato dalla miserabile presunzione umana, De revolutionibus e il dialogo tra un Galantuomo e il Mondo centrano il momento crono-topico: il momento storico, e persino della cronaca, come quello del luogo, l’Italia, Palermo. Va da sé, che siano particolarmente affini all’intero cartellone della presente stagione del Biondo intitolata “Sovrani e Impostori”.
Se andiamo a sondare i temi non è che si possa parlare di “spoiling”: si tratta di un testo di quasi due secoli fa, e che tutti coloro i quali si siano dati la pena (forse inutile) di studiare a scuola dovrebbero conoscere. Anche perché è presumibile che i due attori proporranno una rilettura, ancorché l’eleganza di Leopardi sia mantenuta, forse accentandone l’elemento ironico.
De revolutionibus è un capolavoro di Leopardi sulla presunzione dell’umanità nel volere stabilire regole proprie, ad uso e consumo dell’irrazionale razionalità umana (e, certo, “religiosa”), su come sia l’intero cosmo, l’intero universo. Copernico, o meglio Nikolaus Kopernikus, è suo malgrado incaricato dal Sole per chiarire come stanno le cose, al di là della piccola dimensione “terrocentrica” e quindi antropocentrica.
Il Sole è qui un personaggio, quasi umano anche lui, quasi in carne e ossa, che ne ha abbastanza d’essere considerato quale entità che debba darsi da fare per girare intorno alla terra… Da qui, ne conseguono numerose considerazioni filosofiche amabilmente trattate in maniera ironica dal grande poeta italiano.
Va letto, soprattutto, tra le righe: un invito a nozze per una pièce di teatro, soprattutto oggi. E non solo perché la rivoluzione del pensiero del XVI secolo fu osteggiata dai preconcetti d’origine religiosa, ma anche perché, sembra incredibile, ancora oggi esiste la stessa presunzione: sia letterale che di fondo. Come finirà? Non è detto che si tratti di solo pessimismo, tanto più che seguirà, collegata, la seconda operetta.
Ancor più pervasivo, e forse più comprensibile ai più, è il dialogo tra Un Galantuomo e il Mondo. L’umanità, il Mondo, spiega a un Galantuomo che vorrebbe mantenere le proprie virtù morali, alcune lezioni “di vita”. In due parole, le lezioni che si traggono dalla miseria umana. La poesia salverà il mondo? Una risata lo seppellirà? Possibile, a meno d’insistere sul pessimismo cosmico? Oppure, perché ne insistiamo? Tutto da scoprire.
È prevedibile, come da stile degli attori che hanno costruito lo spettacolo ormai in tournée da qualche tempo, un approccio quale commedia dell’arte. Il testo si presta anche in questo e non solo nel metodo scenografico e teatrale, confermato da precedenti critiche e dagli artisti. Ma anche nel concetto di “maschera” dei personaggi già insito nei testi. Tutti lo sono: Copernico come il Sole o le Ore del giorno, forse più il Galantuomo e il Mondo. Personaggi simbolici e caricaturali che, impersonati a teatro, hanno tutto per attrarre ancor più che nella semplice rilettura di un profetico Leopardi.
L’interesse su questa rappresentazione non viaggia solamente su quanto detto, e nemmeno sull’esclusiva scoperta di una sorprendente intuizione: quella di voler mettere in scena le due operette collegate e probabilmente poco lette persino dagli italiani. Credo sia ancora più importante l’interesse a trarne beneficio per scoprire, teatralmente, la condizione poetica dell’infinitesima natura umana rispetto alla Natura. In questo, quindi, una piccola rivoluzione ex-ante e, visto che il Mondo va al contrario, ex-post.
De revolutionibus
Sulla miseria del genere umano
da due Operette di Giacomo Leopardi, di e con Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi, scene e costumi Cinzia Muscolino, scenotecnica Pierino Botto, luci Roberto Bonaventura, produzione Compagnia Carullo-Minasi
Spettacolo vincitore di “Teatri del Sacro 2015”
Questo pomeriggio, per invito della Minasi, sarò al Biondo