di Gabriele Bonafede
Una nuova notizia corre attraverso le agenzie di stampa. Il Consiglio dei ministri avrebbe approvato la dichiarazione dello stato d’emergenza per la crisi idrica di Palermo e per la gestione dei rifiuti in Sicilia. Nell’isola non piove abbastanza. In Sicilia, dunque, ci sono problemi di siccità. E non è una citazione cinematografica: se non piove, l’acqua non c’è. Sembra la scoperta dell’acqua calda.
Ma non è tutto. Nelle scorse settimane è stata scoperta l’acqua calda anche in altri aspetti della crisi idrica. Sembra che il sistema d’approvvigionamento e distribuzione idrica siciliano sia prono a crisi di questo genere perché totalmente inefficiente.
Volano le cifre degli sprechi, che vanno da alte percentuali di acqua persa nelle condutture, ad approvvigionamenti in pozzi irregolari, quando non gestiti dalla mafia. E chi più ne ha, più ne mette. Numerosi gli interventi di delle opposizioni all’Ars, segnatamente quelle diffuso dai 5 Stelle. Anche qui, la scoperta dell’acqua calda.
Si ricordano, in questi giorni, i mali atavici nella gestione delle acque, con tutto il corteo di situazioni al limite della legalità, per così dire. Ci si ricorda, in un raro slancio di riscoperta della storia (questa sconosciuta) che la gestione delle acque è storicamente “cosa loro”, o per meglio dire, cosa nostra, dei siciliani. O di una parte specifica di siciliani, più o meno “globalizzati” nel mondo infinitamente più piccolo, e non per questo meno grande, di oggi.
La Sicilia, insomma, affronta una crisi idrica riscoprendo sé stessa. Riscoprendo il ruolo storico della mafia nella gestione dell’acqua, riscoprendo paradossali sprechi di dolciana memoria, riscoprendo come la gestione delle risorse idriche, che sia pubblica o privata, ha numerose “falle”. È proprio il caso di dirlo.
Che sia calda o fredda, l’acqua manca e non sembra che la Sicilia possa far qualcosa da sola senza l’aiuto di un governo centrale che per lo meno metta per iscritto la situazione d’emergenza, appunto lo “stato di d’emergenza”. Che non è, non può essere, quello di “calamità naturale”. La calamità neutrale presuppone infatti un evento naturale non previsto. Le due cose sono diverse (basta vedere la normativa).
Rimane la constatazione che una crisi idrica era prevedibile. E per prevedere questa crisi non c’era bisogno né di sofisticate tecniche statistiche, né della sfera di cristallo. Bastava basarsi sulle conoscenze comuni di ciascuno di noi.
Andava, semmai, affrontato il problema in maniera organica nel corso delle ultime tre-quattro generazioni di siciliani. Cioè a partire dagli anni in cui fu pubblicata l’inchiesta di Leopoldo Franchetti sulle condizioni della Sicilia o, per lo meno, da quando fu pubblicato il volume di Danilo Dolci dal titolo “Spreco” nel 1960.
A dirla tutta, sembra di tornare ai tempi in cui fu scoperta l’acqua calda: secoli fa. Una reazione finalmente organica e con azione e prospettive per risultati a medio e lungo termine sarebbe quanto mai utili. E meglio tardi che mai. Per lo meno si spera. Ma con questi chiari di luna, sembra piuttosto un rosa di sera….
Una volta scoperta l’acqua calda in Sicilia, il governo regionale e quello nazionale riusciranno ad evitare il razionamento e a farla arrivare regolarmente a imprese e consumatori, magari fredda?