di Benita Licata
Parlare di scuola per una dirigente scolastica come me, anche se in pensione, sembra ovvio e a volte mi viene il dubbio che non sia un argomento che può coinvolgere più di tanto i lettori.
Riflettendo, invece, penso che dalla scuola chi più chi meno “passiamo ” tutti. E non è un argomento solo per addetti ai lavori. A scuola, si dice, “non si fa politica”. Invece se ne fa, e molta.
Si fa politica programmando le attività didattiche. Si fa politica non discriminando gli ultimi arrivati, siano essi docenti, non docenti o alunni. Si fa politica creando le classi a misura dei disabili e non inserendoli a caso in un gruppo classe. Si fa politica lavorando all’interculturalità e alla multiculturalità. Si fa politica stimolando negli alunni il rispetto della natura, degli animali e il rispetto degli altri e quindi di se stessi.
I futuri uomini, le future donne che poi avranno il peso in molti destini di altri uomini ed altre donne, prima di tutto si formeranno a scuola. Per una come me che, dopo avere insegnato in Toscana ed avere “assaporato” una certa politica scolastica, il ritorno in Sicilia, più di quaranta anni fa, è stato traumatico: troppe carenze edilizie, troppa disinformazione, troppe difficoltà.
Eppure c’ė un detto siculo: u muortu ‘nsigna a chianciri (il morto insegna a piangere). Ed è vero. Per alcuni di noi le difficoltà sono state uno stimolo alla volontà di riuscire nonostante tutto ad abbattere la dispersione scolastica. Ad inserire in tutte le attività i disabili, gli emarginati. A vincere tutte le paure e le perplessità anche di alcuni genitori, aprendo la scuola al territorio anche in quartieri difficili di Palermo che ho conosciuto, come Borgo Vecchio e la Noce.
Nella mia Vita a scuola ho avuto anche la fortuna di incontrare “capi ” illuminati come il mai dimenticato provveditore Mario Barreca. E con l’aiuto di questi dirigenti, piano piano, si è creata una scuola a misura di tutti gli alunni dai piccolissimi agli adulti che frequentavano i laboratori e i corsi per adulti.
E, questo, prima della nascita dei fondi Europei che sono stati una grande risorsa ma che devono avere vita in una scuola che opera già in modo modulare e vede intrecciare le attività curriculari con le attività integrative e/o di recupero.
Questa scuola, dall’infanzia alla media, ė la scuola a tempo pieno, a tempo prolungato. E, a questo punto, il discorso è tristissimo e squisitamente politico, per una scuola come quella che avevo creato io (e devo dire che per fortuna non sono stata sola) occorrono le risorse ministeriali per il pagamento dei docenti. Occorrono le strutture.
E non solo: perché poi occorre la manutenzione delle stesse. Occorrono spazi per le attività e materiale adatto per una giornata lunga all’interno della scuola stessa e, soprattutto, un adeguato servizio di mensa. Quindi occorre l’intervento… politico. A questo punto, con tristezza, devo concludere: non è che a scuola non si faccia politica, è per la scuola che non si fa politica.
I dati riportati nel nuovo portale del Miur hanno rilevato una vera e propria “voragine” tra le aree del nostro Paese: il 58,5% di alunni che fruiscono del tempo pieno frequentano scuole del Nord, il 26% scuole del Centro e solo il 15,5% sono iscritti in istituti del Sud e Isole. (In Sicilia il tempo pieno è ancora meno: non raggiunge il 4%. Dati 2017. Ndr).
La Sicilia è l’unica regione senza legge sul diritto allo studio. Legge che ho in parte scritto e riscritto per assessori di diverse e distanti idee politiche e l’ultima, chiaramente, giace nelle stanze dell’ultimo “rivoluzionario” governo regionale Crocetta.
A Palermo le scuole che attuano il tempo pieno e il tempo prolungato sono veramente poche. I servizi sono troppo deficitari e le famiglie lo richiedono sempre meno, proprio quelle famiglie che avrebbero più bisogno che i loro figli rimanessero più tempo a scuola, magari utilizzando anche i libri della biblioteca, visto che anche il buono-libro è una utopia.
Si è parlato tanto di “deportazione ” dei docenti del Sud al Nord a causa delle assunzioni con la legge 107 (la così detta Buona Scuola).
Ma qualcuno ha riflettuto di quanti posti si creerebbero al Sud con l’istituzione del tempo pieno e del tempo prolungato?
Esiste dunque un “problema meridionale” anche nel settore scuola.
Ma a me, ex operatrice scolastica in Toscana e in Sicilia, viene spontanea una domanda retorica: posto che i nostri docenti sono bravi al sud e al nord, cosa distingue Firenze e la Toscana da Palermo e la Sicilia? La politica?
Ma a scuola non si fa politica, forse.
In copertina, studenti alla commemorazione di Falcone del 2016. Foto di Gabriele Bonafede. Tutti i diritti riservati.