di Maria Teresa de Sanctis
Talvolta accade che ci siano luoghi in grado di regalarci momenti di grande giovamento per l’anima, aiutandoci così a fronteggiare le alterne vicende dell’esistenza, oggi come ieri come sempre. Il Teatro greco di Segesta, prezioso esempio di architettura antica, è senz’altro da annoverare fra questi.
Posizionato in cima ad una collina, offrendo uno stupendo panorama sulla valle circostante, avvolge il visitatore in un turbinio di suggestioni, grazie alle quali il tempo non esiste più e resta solo il momento lì vissuto.
E se poi, al tramonto, siamo spettatori di un ottimo spettacolo, allora la magia si compie nella sua totalità e diveniamo un tutt’uno con quell’angolo di mondo eterno. Questo è quanto accaduto con la tragedia “I Persiani” di Eschilo, per la regia di Claudio Collovà, direttore del Segesta Teatro Festival, autore anche dell’adattamento e delle scene.
“I Persiani” di Eschilo nell’adattamento di Claudio Collovà
Lo spettacolo, andato in scena in prima nazionale il 2 agosto con repliche il 3 e il 4, vede la partecipazione di Giuseppe Pambieri nel ruolo di Dario, quindi Sergio Basile, Micol Pambieri, Gianluigi Fogacci, Nicolas Zappa; i costumi sono di Dora Argento e le musiche di Giuseppe Rizzo. In collaborazione con l’Accademia delle Belle Arti di Palermo, è una produzione Teatro della città Centro di produzione teatrale / Artelè.
Grazie all’ottimo adattamento e alla regia semplice e lineare, il testo viene fuori in tutta la sua bellezza, esaltando la forza e l’attualità del messaggio. L’elemento guida del tutto, e vincente senza dubbio, sembra essere la misura. Misura nell’essenzialità della scena e degli oggetti scenici, nei costumi, nel paesaggio sonoro, caratterizzato prevalentemente da lugubri rumori di guerra, nei movimenti scenici. Tutto a favore della parola, in un testo che, ora nelle terribili descrizioni dei sanguinosi scontri in mare e in terra, ora nella desolata angoscia e disperazione che tutto pervade, risulta essere un memento, un tanto accorato quanto inutile monito ai potenti, vittima della loro tracotanza, cupidigia e arroganza.
“Il potere e la ricchezza non giovano ai morti”, così Dario, un ottimo Giuseppe Pambieri, evocato in spirito, ammonisce lo stolto Serse. L’orrore nel racconto disperato del messaggero, della terribile disfatta dell’esercito persiano, è lo stesso delle cronache dell’oggi e col quale oggi ormai abbiamo purtroppo acquisito una impotente familiarità. La disperazione delle madri di tutti i giovani morti in guerra è la stessa. Nei secoli, anzi nei millenni, non cambia. E il rimprovero di Dario per l’inutilità di una guerra cagionata da avidità e arroganza e per questo destinata al castigo degli dei, sembra sia rivolto ai potenti protagonisti delle tante guerre dell’oggi.
L’avere scelto “I Persiani” in tempi come i nostri, così funestati da guerre, merita un ulteriore apprezzamento. In quanto richiama quella funzione politica ed etica del teatro, talvolta trascurata, che non può che arricchire chi ne fruisce. Uno spettacolo da vedere e riproporre.