Deludente sul piano celebrativo perché è sembrata una carnevalata senza riferimento storico alla Santuzza. Si aggiunge una gestione degli spazi inadatta all’evento e tarata da black-out incomprensibili
di Gabriele Bonafede
Noi palermitani siamo sempre esagerati. E l’esagerazione di folla al Festino di Santa Rosalia ne è una manifestazione fisica e spirituale, sia nel meglio che nel peggio. Anzi, si potrebbe dire che il Festino di Santa Rosalia è il culmine annuale nella autorappresentazione delle nostre esagerazioni.
Non per niente una festa gigantesca con centinaia di migliaia di persone per strada è chiamata “festino”. La grande Santa patrona massima della città è devotissimamente chiamata Santuzza, ovvero “piccola” santa. Non per niente una strage è chiamata dai palermitani “ammazzatina” e una fuga d’amore che sconvolge gli equilibri di una famiglia viene definita “fuitina”. Così come le cose pregiate sono definite quali “cusi i rumpiri” (cose da rompere). Così come, in positivo, la frutta fresca viene definita “viva e che si muove” e le cose buone da mangiare si definiscono “belle” prima ancora di buone. La città stessa di Palermo, atavicamente rimasta in difficoltà economiche storiche da secoli, viene definita “felicissima”, laddove la povertà, la sofferenza e l’infelicità regnerebbero invece sovrane.
Sarò dunque esagerato, ed esageratamente critico anche io. È d’uopo, perché sono anche io palermitano. E prendete questo mio commento al 400° Festino di Santa Rosalia per quello che è: un resoconto esagerato e soggettivo su una serata che prometteva bene, con qualcosa di mantenuto, ma che è stata meno riuscita rispetto alle (alte) aspettative della vigilia. Un resoconto che è rivolto più ai non-palermitani che ai palermitani, condita di fotografie amatoriali tutte mie e irrimediabilmente segnate dal sudore e dall’untume del cibo.
Palermo città degli ossimori
Palermo è la città degli ossimori, delle contraddizioni, delle esagerazioni in un senso e nell’altro. L’ex-sindaco storico della Palermo a cavallo tra i secoli XX e XXI, Leoluca Orlando, continua a dire ai palermitani che Palermo è viva proprio perché in contraddizione. “Se Palermo non fosse in contraddizione con sé stessa non sarebbe più viva”, dice da tempo.
Una delle più grandi contraddizioni è la modalità nella quale si festeggia Santa Rosalia ogni 14-15 luglio. La fiumana di gente, la calca a temperature estive proibitive, diventa per alcune ore di grande capacità civile nell’autogestione dello stress.
Di fronte a Santa Rosalia tutte le deprecabili inciviltà del palermitano – il suo esagerato individualismo, la sua rissosità, la sua animosità – cedono il passo alla condivisione responsabile di un momento di devozione nonostante l’esaurimento fisico e le obiettive difficoltà materiali e psicologiche. Accalcati in maniera inverosimile, tutti condividiamo questo momento di celebrazione della palermitanitudine. Facendo attenzione al vicino, mostrando gentilezza e altruismo, imponendoci volontariamente regole di civile sopportazione allegramente infrante in tutti gli altri giorni e notti dell’anno. Rimaniamo calmi e rassegnati di fronte all’inevitabile bagno di sudore inasprito dalla stanchezza nell’affrontare almeno otto ore di Festino. Pur di venerare e ringraziare Santa Rosalia, onoriamo la nostra città in una notte di festa misticamente e materialmente incomprensibile ai “forestieri”.
Il mezzo flop del 400° Festino di Santa Rosalia: poca storia della Santuzza e di Palermo
Ieri a Palermo si è celebrato il 400° Festino di Santa Rosalia (qui la guida pubblicata dal comune alla vigilia). Ossia la quattrocentesima festa per la liberazione di Palermo dalla peste del 1624. Una liberazione dovuta, secondo l’agiografia, a un miracolo della Santuzza. E, sempre secondo l’agiografia, un miracolo concesso da Santa Rosalia in riconoscimento a una rinnovata devozione nei suoi confronti dopo secoli di relativo oblio da parte della proverbiale “ingratitudine” palermitana. Nel 1624 Santa Rosalia era infatti già morta e santificata da un pezzo: secoli prima nel Medioevo.
Purtroppo questa celebrazione che doveva essere tradizionale, unica e indimenticabile, ha spezzato le tradizioni palermitane a partire dalla motivazione stessa: la storia di Santa Rosalia, la storia di Palermo, la nostra storia. Il 400° Festino si è rivelato spettacolare come sempre, forse meglio di altri in taluni effetti scenici e d’attrattiva immaginifica, ma a dir poco superficiale nei contenuti storici e comunicativi. La narrazione delle storie di Palermo, fulcro del Festino, è stata ridotta all’osso.
La rappresentazione a Palazzo dei Normanni, che era il momento in cui ogni palermitano e visitatore, ripercorreva tutta la storia, per altro complessa, di Santa Rosalia si è soffermata sul solo momento tragico della peste del 1624. È stato fatto con la proiezione di un macabro video sulla Torre Pisana del Palazzo. Encomiabile l’attore Maurizio Bologna, ma senza il resto degli eventi dell’agiografia si rivela troppo poco per far capire tutta la storia di Santa Rosalia e di Palermo. Troppo poco per raccontare secoli di contraddizioni palermitane e i motivi del Festino. In definitiva è mancata la storia pluricentenaria di Palermo in una pluricentenaria ricorrenza, sebbene le performance dell’attore palermitano siano state di altissima ispirazione e livello interpretativo.
Il mezzo flop del 400° Festino di Santa Rosalia: bello il carro notturno, pochi i contenuti
La grande statua del carro, inizialmente coperta da un mantello nero, sembrava la “morte in vacanza” fino a quando non è stata svelata. Una volta scoperta e con luci appropriate, si è rivelata di ottima fattura e di grande effetto scenico. Ma perché coprire con un mantello nero la Santuzza pre-miracolo? Sarebbe stato opportuno ad esempio un mantello che simboleggiava il suo saio da eremita, oppure un semplice mantello bianco anziché nero. Era semmai la peste ad essere nera, non certo Santa Rosalia. Sul piano simbolico si resta dunque perplessi.
Forse chiediamo troppo per un’organizzazione che, in tutta evidenza, ha dimostrato di non sapere nulla o quasi sulla storia di Santa Rosalia e di Palermo. E di essersi informata molto poco. Oppure di avere scelto solo scarni e isolati riferimenti alla storia della Santa, rimasti incomprensibili e discutibili ai più soprattutto se non palermitani.
Questa è solo una delle mancanze di un 400° Festino che è stato, dal punto di vista comunicativo e artistico, un mezzo flop.
Scelte dissonanti
Le rappresentazioni delle altre quattro sante di Palermo sarebbero state pure una bella idea se solo non ci si fosse limitati a riprodurle come una sorta di gigantesche “drag queen”. Le quattro sante di Palermo, Olivia, Ninfa, Cristina e Agata, furono infatti martiri paleocristiane particolarmente umili e devote, tanto da non rinnegare la fede anche sotto orribili torture. Rappresentarle semplicemente come dame lussureggianti rivisitate in chiave post-barocca è a dir poco stucchevole, pur nel ricalcare la narrazione scultorea della piazza dei Quattro Canti.
Nulla o quasi per San Benedetto il Moro, co-patrono di Palermo e per il quale quest’anno si celebravano i 500 anni dalla sua nascita. Solo menzionato al passaggio ai Quattro Canti. Ma nessuno, anche qui, è stato informato sulla sua vita e sulla sua figura nella storia di Palermo durante il 400° Festino, che pure era un’occasione irrinunciabile.
Ancora meno pertinenti le scelte musicali rispetto al tema-Santuzza. Il secondo carro, in opinabile prima assoluta, ha percorso il Cassaro alto e basso con musica totalmente dissonante dal tema. Come se si trattasse di una festa privata qualsiasi in una qualsiasi discoteca a cielo aperto del mondo.
Incredibile l’assenza della banda municipale nel dettare tempi e umore del corteo di popolo con musica dal vivo anziché registrata. E per lo meno con canzoni tradizionali-popolari per una festa tradizionale e popolare, anziché la tecno ritmata o il pop in lingua straniera proposta ieri a pieni decibel.
Il mezzo flop del 400° Festino di Santa Rosalia tra spazi ristretti gestiti male e black-out
Ancora peggio è andata nella gestione della folla e della sicurezza. L’amministrazione ha piazzato transenne ovunque nel tentativo di “contingentare” le presenze, ma con l’unico effetto di ridurre gli spazi disponibili alla folla. Aggravando la calca e precludendo lo spettacolo a una grande fetta dei potenziali spettatori.
Ad esempio, alcuni spazi tradizionalmente lasciati liberi, come il terrazzo del Palazzo della Zecca sulla parte bassa di corso Vittorio Emanuele, sono stati vietati. Riducendo così la capienza di diverse migliaia di persone. Analoga situazione sull’immensa piazza di fronte al Palazzo dei Normanni che è stata utilizzata in maniera a dir poco balorda.
Il deflusso della folla è stato impedito da transenne in ogni dove, aggravando il livello di pericolo anziché mitigarlo. Così che il momento topico del passaggio ai Quattro Canti è stato scenograficamente notevole, ma con un numero particolarmente ridotto di spettatori.
I black-out elettrici intermittenti hanno fatto il resto, per una celebrazione quasi esclusivamente basata su giochi di luci, musica e suoni. Per giunta in una serata miracolosamente fresca per gli standard locali di metà luglio, e quindi con meno condizionatori d’aria accesi a palla e picchi di consumi di energia elettrica meno severi del previsto.
Cosa rimane
A conti fatti rimane molto poco. Notevoli le performance di Maurizio Bologna sulla peste. Un bel carro e scenografie di pregio ma dissonanti, qualche spunto musicale indovinato. Il successo, se c’è stato, è stato prodotto dal popolo palermitano nonostante tutto. Ed è comunque giusto urlare “Viva Palermo e Santa Rosalia”. Se non altro perché siamo ancora qui: pieni di contraddizioni, criticoni, pieni di problemi, ma ancora qui dopo 400 anni e 400 festini.
I giochi d’artificio? Promessa mantenuta, sono durati un’ora. Con masculiata finale (quasi) indimenticabile. Da fare invidia ai contemporanei giochi pirotecnici di Parigi, per una celebrazione tutt’altro che religiosa. Come ogni anno, d’altronde.
Rimane poi la speranza, quella evocata nel quadro finale a specchio su Porta Felice, ultima tappa di un’istigazione a resistere. Con tanto di scritta “La speranza siamo noi”, condita di icona della Santuzza.
Ridateci i festini di Lollo Franco
Per alcuni anni il Festino fu gestito dall’artista palermitano Lollo Franco. Spesso criticato dalla proverbiale insoddisfazione del palermitano, soprattutto se della “Palermo bene”, oggi lo rimpiangiamo.
A dispetto del “palermitano snob” – atro ossimoro della città – i festini di Lollo Franco avevano il pregio irrinunciabile di raccontare la storia di Santa Rosalia per come è stata tramandata e con un linguaggio artistico facilmente comprensibile e popolare. Avevano il pregio di raccontare la storia di Palermo ai palermitani come ai turisti. I festini di Lollo Franco avevano un valore divulgativo molto importante per ricordare a noi palermitani chi siamo e da dove veniamo, nel bene e nel male.
Ieri invece abbiamo assistito a una imbarazzante carnevalata solo parzialmente mitigata da un paio di buone idee scenografiche a base di luci nella notte, ma aggravata da una gestione dissennata degli spazi urbani e del flusso della folla, frutto di una disorganizzazione peggiore del solito.
Ridateci i festini di Lollo Franco, che sapeva gestirli con il rispetto delle modalità tradizionali. E soprattutto raccontavano l’agiografia di Santa Rosalia anziché il nulla cosmico del “400° Festino”.