di Guido Rizzo Cavadi
In un mondo abitato da bambole, forze misteriose sconvolgono la felice esistenza di Barbie – bambola per antonomasia che ha allietato l’infanzia di migliaia di bambine di tutto il mondo – costringendola a un viaggio che ha come obiettivo il ripristino dell’equilibrio iniziale ma che finirà per avere risvolti imprevedibili.
Da qualche parte nella nostra galassia, esiste una “landa” abitata da bambole che vivono un eterno presente di spensieratezza individuale, uguaglianza sociale e pace collettiva; bellezza, ceto ed etnia non determinano distinzioni di sorta perché la Barbie-Stereotipo e tutte le altre Barbie traggono linfa vitale dalle fantasie delle bambine del mondo reale che hanno come unico pensiero quello di divertirsi e non certo quello di primeggiare sulle compagnette.
Il mondo di Barbie
Barbie dipinge (rigorosamente in rosa) una sorta di Isola-Che-Non-C’é abitata da creature pure e fanciullesche e, al contempo, presenta complesse sovrastrutture tipiche di una società smaliziata e matura. Tratti caratteristici, infatti, ne sono l’organizzazione governativa informata al presidenzialismo, l’adozione di un sistema di leggi codificate e il sindacato di organi giurisdizionali chiamati a mondare il quieto vivere civile. Esiste una Presidentessa, una Costituzione, esistono una Corte suprema e dei Tribunali locali…
È un mondo bizzarro e abbastanza incoerente con se stesso in cui gli osservatori esterni (leggasi: gli spettatori in sala) faticano non poco a raccapezzarvici. Ma è anche un mondo che, tuttavia, ha un senso e una logica per i suoi abitanti. Proprio come accade quando si vive un sogno in fieri e poi, da svegli, lo si analizza criticamente e se ne colgono varie assurdità.
Una lampante incongruenza in tal senso è data, per esempio, dal rammarico di Barbie dinnanzi all’accusa di essere “fascista”: una creatura fanciullesca non può certamente avere contezza di tale qualità (comunque la si voglia definire). Eppure, considerato dall’ingenua prospettiva della bambola che vive nella concordia universale, il rammarico della protagonista appare logico e coerente.
Il “matriarcato” di Barbieland
Ancora, in una società chiaramente improntata al matriarcato, come quella sulla quale si fonda Barbieland, non c’è spazio né per gli uomini né per chi ha altri orientamenti sessuali. All’ombra di tantissime Barbie – ciascuna individuata da identità ben precise (tante quante sono le possibili declinazioni delle potenzialità umane) – esistono, infatti, altrettanti “Ken”. Cioè pezzi di plastica (per non dire “pezzi di carne”) che alla fine della giornata-tipo scandita da balletti, goffo machismo e frivolezze varie, non si sa bene dove vadano a finire. E, a ben vedere, le loro sorti non sembrano degne di particolare considerazione da parte della popolazione dominante.
Questa visione di Ken potrebbe apparire meschina e riduttiva ai lettori feriti nel loro orgoglio virile. Ma intanto sembra proprio che, attraverso il suo film, la Gerwig voglia dare ai maschietti un assaggio della stessa amara medicina che molte ragazze e giovani donne sopportano nel mondo reale. Quante volte, tra uno scroll e un altro sui social, capita di vedere reels di giovani adolescenti che fanno capolino con un balletto e poi spariscono per sempre, senza impegnare ulteriormente la nostra attenzione? Persone in età fragile alla ricerca di valori sani, legami autentici o semplice attenzione che, pur di manifestare al mondo la loro presenza, magari sbagliano nell’adoperare i mezzi disponibili finendo per essere dimenticate o, peggio, equivocate.
Seguendo la logica del contrappasso e servendosi di toni leggeri e canzonatori, Greta Gerwig lancia una pesante critica alla prevaricazione e all’egoismo maschilista imperanti nella nostra società denunciando l’ipocrisia – specie nei contesti aziendali – della pari dignità lavorativa e sociale. Significative si rivelano un paio di battute come, per esempio, « Il patriarcato esiste ancora solo che lo nascondiamo meglio » o, ancora, « Sono un uomo senza alcun potere, questo fa di me una donna? ».
Barbie, uomini e donne
Non è difficile cogliere l’inversione dei ruoli di uomini e donne che abitano la Terra rispetto a chi abita Barbieland e, a dirla tutta, chiunque abbia un briciolo di umanità (e non una semplice “bambolinità”…) difficilmente rimane insensibile e non prova empatia innanzi alle tribolazioni di Ken.
Ken, un soggetto tradizionalmente relegato al ruolo di costola di Barbie, è incapace di distinguersi dai suoi simili. Perché, in fondo, non è altro che una goccia nell’oceano di un mondo che predica l’omologazione. Nonostante tutto, Ken è proteso alla ricerca e all’affermazione di sé stesso.
Soltanto con una rivoluzione culturale, prima ancora che violenta, è possibile rimettere veramente a posto le cose. Tra euforia rosa, balletti e demenzialità generale, Greta Gerwig è chiara nel trasmettere il proprio messaggio agli spettatori attraverso quella che sembra essere più un’opera d’arte concettuale sulla dignità e sulla sensibilità della donna piuttosto che un manifesto del femminismo.
Scheda tecnica da Coming Soon:
Foto di copertina tratta dalla pagina Facebook in Italiano della Warner Bros. Pictures, qui il link.