Pernacchia o pernacchio, il dileggio rumoroso aveva un grande interprete anche a Porto Empedocle
di Pasquale Hamel
La pernacchia è il massimo sfregio o dileggio, l’intima a non prendersi troppo sul serio, che si possa rivolgere nei confronti di qualcuno.
Celebre la pernacchia con la quale, nel film “I due marescialli”, l’indimenticabile attore Totò interrompe l’enfatico comizio di un ufficiale tedesco. Oppure la pernacchia, o per essere più precisi il pernacchio di Eduardo De Filippo in “L’oro i Napoli” (immagine di copertina e video alla fine di questo articolo).
La pernacchia è, in qualche modo, l’orgoglio nazionale. Il più efficace strumento per smitizzare e ridicolizzare il potere e le forme esteriori in cui normalmente si esprime.
Il Re della Pernacchia in Terra di Pirandello
Proprio la consapevolezza del suo potere demistificatorio contro le convenzioni tradizionali ma anche contro una quotidianità che intendeva escluderlo, aveva spinto Peppuccio Agrò, a farsi inarrivabile maestro della pernacchia. E a diventare, di fatto, il Re della Pernacchia in Terra di Pirandello: a Porto Empedocle.
Per comprendere il perché di questa vocazione bisogna prima raccontare che con Peppuccio Agrò, di mestiere “sbriga-faccende”, madre natura era stata tutt’altro che benevola. Fisicamente si presentava con un testone enorme su un torso grossomodo normale. Ma con gambe cortissime che lo facevano apparire nano.
Una condizione che appunto l’escludeva da una vita normale e lo esponeva ai commenti sarcastici in un mondo, all’epoca, privo dei valori che abbiamo oggi. Per fortuna sua, quella deformità era accompagnata da un’intelligenza e una furbizia che non avevano pari. Un’intelligenza che l’aveva portato ad elaborare le sue difficoltà trasformandole in potentissimo strumento di irrisione delle abitudini o usanze cittadine.
I bersagli del “Re”
I suoi bersagli erano soprattutto i potenti locali o quanti lo guardavano con sufficienza non degnandolo di quella considerazione dovuta a persone comuni. E la pernacchia, con possenti sonorità che riusciva a modulare con un’abilità straordinaria, ferivano i timpani. Era lo strumento principe del quale il nostro faceva un uso perfino spregiudicato.
Guai, infatti, a chi aveva avuto a ridire sui suoi comportamenti o a chi aveva, anche involontariamente, fatto apprezzamenti poco opportuni sulla sua persona. Perché correva il rischio di ritrovarsi spernacchiato a tal punto da fargli perdere la comune compostezza.
Guai anche ai politici verso i quali la sua pungente ironia e le pernacchie conseguenti potevano ridicolizzare comizi o discorsi suscitando le crasse risate della gente. Guai anche alle donne, nei confronti delle quali nutriva una sorta di risentimento visto che dalle loro grazie appariva escluso. Non era infatti insolito che prendesse di mira qualche bellezza locale bersagliandola con quelle inurbane sonorità fino a turbarne lo studiato decoro.
Insomma Peppuccio veniva da tanti considerato un vero e proprio castigo di Dio per la vita ordinaria del Paese. Ma nonostante tutto riusciva simpatico ai più.
Infatti, quando venne meno ancor giovane e solo, dietro al suo feretro si mosse una folla commossa mai vista.
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