Una storia brutale, quella narrata da Cacciatore e Pizzo ma, proprio per questo, una storia da comprendere nelle sue complessità, contraddizioni e sfaccettature attraverso la lettura di questo libro
di Roberto Greco
È possibile conciliare una scrittura a quattro mani quando queste sono strutturalmente diverse a seguito del background e dello stile implicito dei due autori? I primi a porsi la domanda, in questo caso, sono stati gli autori stessi.
Due mani sono di Giacomo Cacciatore, scrittore e saggista italiano, che non è nuovo a realizzare libri che prendono spunto dai fatti di cronaca e lo dimostra il suo “Uno sbirro non lo salva nessuno – La vera storia di Emanuele Piazza, il Serpico palermitano”, libro in cui, la storia, la ricostruisce con precisione e rigore perché si tratta di «un libro costruito su un’assenza. Un romanzo che ha un protagonista sempre presente attraverso chi, e ciò che, lo ricorda nonostante lui non ci sia più» come ebbe a dichiarare nel 2017 in occasione dell’uscita del libro. Le altre due mani sono quelle di Giuseppe Pizzo, ex poliziotto, inviato e autore di “Chi l’ha visto?”, il noto programma di Rai3, più abituato a un taglio narrativo secco, asciutto, condizionato da tempi e modi televisivi.
Verso il linguaggio asciutto, secco, Cacciatore si era già spostato, accogliendo nel suo stile quel mood hard boiled che trova le proprie radici nei romanzi di Hammett della fine degli anni venti. Frasi brevi. Ripetizioni. Punteggiatura frequente. Ripetizioni. Frasi brevi. Dure. Dirette. Come un pugno sulla mascella.
Basato su un caso di cronaca, l’omicidio di Gloria Rosboch, il “Vite senza Gloria” affronta in realtà un tema che, se non tramite qualche programma televisivo, non era mai stato affrontato e sviscerato nella sua complessità, quello delle truffe perpetrate nei confronti di donne, giovani e meno giovani, facendo leva su adulazione o finta passione con uno scopo ben preciso: quello di estorcere loro denaro.
Il “caso Rosboch”, così potrebbe titolarsi questo libro se fosse semplicemente un saggio, è destrutturato e ricomposto con maestria dai due autori i quali, grazie a una semplice ma efficace scelta stilistica, mantengono il loro carattere narrativo. La costruzione che ne esce è estremamente accattivante per il lettore ma, in realtà, questo è un libro che ferisce, che mette in luce un quotidiano che travolge implicitamente ognuno di noi. Un quotidiano terribile, di quelli che fanno emergere la parte peggiore dell’individuo. Quell’individuo che vive accanto a noi. Quell’individuo che ignoriamo pur notandolo.
Una storia brutale, quella narrata da Cacciatore e Pizzo ma, proprio per questo, una storia da comprendere nelle sue complessità, contraddizioni e sfaccettature attraverso la lettura di questo libro. Una storia che cancella tragicamente l’identità della protagonista, spremuta come un limone e buttata, senza alcuna pietà, nel secchio dell’immondizia. In una vasca di decantazione di un’ex discarica.
Una storia non basata sull’assenza di Gloria ma sull’atrocità della sua fine, senza mai essere troppo enfatici, in maniera puntuale ma garbata.
E dopo averlo chiuso, al termine della lettura, sarà necessario fermarsi. Fermarsi. E prendere fiato. Fermarsi. E iniziare a pensare.
Una nota: a causa dello standard grafico proprio dell’editore, il titolo nella copertina risulta scritto tutto con lettere maiuscole. In questo caso si perde il doppio senso voluto dalla scelta del titolo stesso, in cui Gloria è scritto con la G maiuscola.
“Vite senza Gloria” di Giacomo Cacciatore e Giuseppe Pizzo – pagg. 154 – Leima editore. In copertina, gli autori Giacomo Cacciatore (a sinistra) e Giuseppe Pizzo.
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