A un anno dall’inizio della brutale aggressione russa pubblichiamo una mini-serie di articoli che riassumono le fasi principali della guerra in Ucraina in corso. Prima parte: “la blitzkrieg che non fu” (febbraio-marzo 2022)
di Roberto Casalone e Gabriele Bonafede
Nell’anniversario dell’invasione dell’Ucraina da parte delle forze armate della Federazione Russa, riteniamo utile presentare in forma sintetica ciò che rappresenta la guerra in corso da un punto di vista prettamente militare. Almeno per sommi capi, esporre quelle che sono le cosiddette “lessons learned”. Insegnamenti ottenuti dall’analisi dei fatti che, in molti casi, non solo hanno stupito gli addetti ai lavori, ma li hanno anche costretti a rivedere posizioni e dottrine che parevano inattaccabili da decenni.
Cerchiamo di creare una sorta di directory dalla quale estrapoleremo gli argomenti principali, dividendo in piccoli capitoli la narrazione degli eventi. Un insieme di eventi che possono definirsi come il racconto del “blitzkrieg che non fu”. Il racconto, in questa prima puntata, del tentativo russo di realizzare una guerra-lampo – appunto un blitzkrieg – fallito miseramente.
Utilizziamo blitzkrieg al maschile, e non la blitzkrieg o guerra lampo al femminile, proprio per significare come la guerra, purtroppo, i russi l’hanno lanciata e continua ancora. Ma ciò che è fallito nella prima fase è stato il metodo che avrebbero voluto utilizzare i russi nei primi giorni: appunto il blitzkrieg. Un blitzkrieg mal concepito e peggio ancora eseguito, mischiato a tentativi di colpi di mano anch’essi mal progettati e male eseguiti.
Cioè è fallito il tentativo, il metodo strategico e tattico, per arrivare a un successo-lampo sul modello delle aggressioni naziste alla Polonia, all’Europa settentrionale e ad altre nazioni nel 1940-41. Blitzkrieg che, purtroppo, le armate tedesche eseguirono con molta più perizia, attenzione e capacità rispetto alle forze armate russe impegnate in Ucraina nel 2022.
Il blitzkrieg che non fu: la Russia ammassa truppe ai confini dopo otto anni di aggressioni locali
È utile cominciare dalla genesi della cosiddetta “Operazione Militare Speciale” che ha portato le forze russe a varcare il confine e aggredire l’Ucraina nella totalità della propria integrità territoriale, dopo le aggressioni geograficamente limitate del 2014 e reiterata in Donbass fino al febbraio 2022.
Da anni vi erano segnali di questo comportamento futuro. Eppure in molti si sono rifiutati di considerarlo possibile. Quei pochi che avevano seriamente preso in considerazione l’eventualità, sono stati scavalcati nella diffusione di una campagna mediatica quasi globale. Una campagna di disinformazione russa che ha bollato come “minacce senza concretezza” i movimenti di truppe verso il confine. Le continue esercitazioni russe sono state presentate quali “manovre” volte a testare una guerra di movimento meccanizzata e corazzata nelle pianure dell’ovest della Russia. Si trattava invece di esercitazioni preliminari all’invasione.
Eppure le premesse dell’invasione c’erano tutte. Fin dal 2014 con l’annessione armata della Crimea e l’inizio delle scaramucce in Donbass tra milizie “separatiste” ed esercito regolare ucraino. Si era capito da tempo che la dotazione di armi pesanti in mano ai “separatisti”, in alcuni casi modernissime, non potevano essere frutto unicamente del saccheggio dei magazzini catturati alle forze regolari ucraine. Erano in tutta evidenza forniture dirette da parte russa avvenute tramite passaggi transfrontalieri dalla Russia al Donbass. Non solo in termini di mezzi, ma anche di personale militare russo.
Altri segnali di imminente aggressione
La presenza in Donbass di carri armati russi T72 e T80, lanciarazzi MLRS Grad, artiglieria da 152mm e missili antiaerei BUK (responsabili dell’abbattimento dell’aereo civile MH117), già avevano fatto intendere che il livello si sarebbe alzato fino a causare combattimenti tradizionali. Combattimenti non più tipici della guerra asimmetrica, cardine della dottrina Gerasimov, ma combattimenti tradizionali tra forze moderne. Ad esempio, come nel caso dell’assedio all”aeroporto di Donetsk.
Poche voci in occidente hanno approfondito questa tematica. Anche eminenti esperti e analisti non hanno tenuto conto di ciò che avveniva in Ucraina. Le operazioni belliche dei separatisti venivano considerate alla stregua di una qualsiasi operazione di contenimento e contrasto volta a restituire la sovranità locale in una provincia contesa. Ovvero, a poco più di ciò che nell’Ottocento si definiva “anti-insurrezione”.
Per questo, gli attacchi all’alba del 24 febbraio 2023 hanno causato uno shock in buona parte del mondo libero.
L’esercito ucraino alla vigilia dell’invasione
Diciamo subito che le forze armate ucraine, dal 2014 ad oggi, hanno compiuto passi da gigante per porsi a un livello di presentabilità ed efficienza. Un livello di efficienza che, fino al 2014, era drasticamente calato a causa di corruzione endemica, lassismo e mancanza di risorse economiche tali da modernizzare e rendere competitiva l’industria nazionale della difesa. Pur essendo stata una delle più potenzialmente produttive e ricche di innovazioni in Europa e forse anche al mondo.
All’alba del 24 febbraio 2022, le migliori unità di Kyiv erano schierate proprio sul fronte orientale del Donbass. Qui la creazione di un sistema stratificato di linee difensive e capisaldi era servito negli anni per contrastare le numerose offensive dei separatisti. Qui l’esercito ucraino si è formato sul campo. Paradossalmente, le continue violazioni degli accordi di Minsk da parte russa hanno reso l’esercito ucraino allenato alla guerra.
In effetti, gli otto anni di guerra in Donbass dal 2014 al 2022 hanno rappresentato per dozzine di scaglioni di leva dell’esercito ucraino ben più che un addestramento teorico. Si è trattato di guerra vera, sia pure di posizione e non di movimento. Il che ha aiutato l’esercito ucraino, essenzialmente di leva, ad acquisire quadri e truppe con esperienza di guerra vera sul campo. E ciò anche per gran parte delle riserve poi mobilitate per resistere all’invasione russa in larga scala del 2022.
Geografia e difesa territoriale dell’Ucraina
A nord, a sud e nel nord-est, l’esercito ucraino era stato invece costretto a disperdere le forze restanti per creare un velo minimo di contrasto, senza poter disporre di riserve di profondità e seconda schiera, salvo contare sui battaglioni della Guardia Nazionale.
Battaglioni territoriali addestrati negli anni (anche grazie a programmi NATO ed UE, includenti pure istruttori italiani) in modo superiore a quanto avveniva dal 2014 al 2018. Ma armati in modo più leggero e con dotazioni in buona parte obsolete, quando non addirittura arcaiche. Cito ad esempio le mitragliatrici Maxim addirittura del 1910, ancora oggi posizionate sui tetti della capitale come misura anti-droni iraniani.
A parziale giustificazione di questa impostazione difensiva va detto che la presenza di paludi, terreni scarsamente praticabili e foreste, avrebbe comunque garantito una serie di difese naturali, soprattutto nella parte nordoccidentale dell’Ucraina. Circostanza questa che storicamente, in ogni epoca, ha avvantaggiato il difensore rispetto all’attaccante.
Ricordiamo qui che, proprio per la conformazione del terreno, una guerra meccanizzata di manovra veloce è praticamente impossibile in alcune aree dell’Ucraina. Mentre nelle pianure orientali e meridionali si può trovare in effetti il terreno ideale per uno scontro tra unità corazzate ad alta mobilità. E cioè come ai tempi del blitzkrieg tedesco nell’Operazione Barbarossa del 1941. In effetti i russi hanno tentato di emulare i nazisti tedeschi, sia nella modalità di attacco che nella modalità terroristica sulla popolazione civile.
Il blitzkrieg che non fu e gli errori della Russia: la mancata copertura aerea
La prima fase della guerra è stata caratterizzata già in partenza da un clamoroso errore strategico russo, primo sintomo di quell’elenco lunghissimo di manchevolezze che datano fin dai tempi dello zar. Vale a dire l’assoluta assenza di una seria campagna di contro-aviazione che, in tempi odierni, è la chiave di volta nelle operazioni offensive.
Nella guerra moderna, se è vero che non si può vincere solo nell’aria, è altrettanto vero che si deve preliminarmente annientare ogni tipo di potere aereo avversario prima di passare all’offensiva. Soprattutto se si vuole attuare un’offensiva con un cosiddetto blitzkrieg. E, soprattutto, si devono accecare o distruggere i sistemi di monitoraggio aereo del nemico, i radar, e disabilitare le unità contraeree.
Ciò non è avvenuto. In realtà sono stati colpiti dai russi solo alcuni siti missilistici statici e poche stazioni radar. Con la conseguenza di lasciare praticamente intatta la possibilità di reagire agli ucraini. I quali sono rimasti in grado di colpire i velivoli russi d’attacco e segnalare per tempo l’avvicinarsi delle formazioni russe.
Aviazione russa palesemente insufficiente e inadeguata
Inoltre, gli attacchi aerei russi non sono stati portati in maniera numericamente rilevante, ma solo con piccole squadriglie al massimo di 6/8 velivoli. Questo per la cronica mancanza di carburante e di aerei efficienti da parte russa. Con la grande dissoluzione dell’URSS, la Russia si è limitata per motivi economici ad acquistare poche decine di aerei per tipo e non più centinaia di velivoli come negli anni 80.
Ciò ha ridotto notevolmente la quantità e qualità nella formazione dei piloti: meno piloti e meno ore di volo. Né l’esperienza acquisita da una parte dei piloti russi in Siria fino al 2022 ha migliorato le cose, dal momento che l’aviazione russa in Siria ha bombardato essenzialmente quartieri di civile abitazione, ospedali, scuole e altre infrastrutture. E quando ha utilizzato i propri piloti non per commettere crimini di guerra ma per attaccare posizioni militari, ha essenzialmente bombardato formazioni di guerriglieri assolutamente prive di mezzi per contrastare aerei militari moderni.
Il blitzkrieg che non fu: altri errori russi nella copertura aerea
Anche la tanto vantata presenza degli elicotteri d’attacco/cannoniere volanti, fin troppo sopravvalutata sin dai tempi dell’Afghanistan, si è rilevata ininfluente sul campo. Perché questi mezzi, impiegati a bassa quota proprio per sfuggire ai missili, sono incappati nella fitta rete di armi automatiche tradizionali che ne hanno fatto strage, colpendoli a poche decine di metri dal suolo.
Generando così più di una perplessità in quegli analisti militari europei ed americani che hanno paventato per decenni l’incubo di sciami di velivoli ad ala rotante a coprire il campo di battaglia sulle pianure tedesche ed olandesi in caso di guerra con la NATO. E facendo rivisitare tutto il concetto di supporto ravvicinato senza superiorità aerea a priori.
Gravissima anche la mancata distruzione degli aeroporti, peraltro quasi inutile in ogni caso, perché, grazie proprio alla dottrina militare aerotattica della vecchia URSS, ogni città possiede in zona almeno una pista aeroportuale dove decentrare i velivoli in caso di attacco. Cosa che l’aeronautica militare ucraina ha sfruttato per tempo, disperdendo i bersagli su di un territorio talmente grande da essere non controllabile o attaccabile a tappeto dalle scarse forze russe.
Una superiorità aerea russa solo teorica
Pertanto, la superiorità aerea russa, numerica e qualitativa, si è rivelata uno strumento bellico quasi irrilevante ai fini della campagna iniziale dell’invasione. In effetti, si è rivelata una superiorità aerea esclusivamente teorica e non reale.
Le guerre arabo-israeliane e la guerra del Golfo, hanno mostrato che l’attacco preventivo al potere aereo avversario va effettuato in maniera massiccia e continuativa. In via strategica e solo dopo aver eliminata la capacità di reazione avversaria, si può pensare di fornire ombrello protettivo alla proprie forze terrestri avanzanti, ma costantemente. Invece l’aviazione russa ha operato in Ucraina solo in alcune zone, lasciando il nemico in grado di riorganizzarsi in altre. Tutto ciò è accaduto perché i russi non hanno avuto più aerei disponibili per lanciare missioni in tutto l’arco del fronte ucraino.
Il blitzkrieg che non fu e gli errori della Russia: le unità migliori mandate al macello
Altro errore scandalosamente emerso alle cronache, è stato il disastroso aerosbarco, o meglio “tentato aerosbarco”, all’aeroporto di Hostomel, vicino Kyiv. Volto a far pervenire le migliori truppe d’assalto, i VDV e gli Spetsnaz, nel cuore della regione della capitale per poterla conquistare con un colpo di mano, come fatto già nel 1979 a Kabul, ha in realtà, replicato la catastrofe di Creta del 1941. Quando le stesse circostanze praticamente annientarono la Prima Divisione Paracadutisti tedesca, fiore all’occhiello delle operazioni speciali di aviosbarco.
L’assalto delle forze speciali russe a Hostomel è stata un’assurdità totale a causa di limiti dimensionali, tattici e strategici. Limiti dimensionali, perché sono stati impiegati troppo pochi uomini rispetto all’area-obiettivo. Per limiti tattici, a causa della mancata intelligence sulle risorse nemiche e tipo di contrasto possibile a terra. E anche per limiti strategici: buttare nella mischia le unità migliori senza alcuna valutazione per un loro riutilizzo o futura necessità.
Questo fallimento è l’ immagine stessa della scarsissima capacità russa di pianificazione in una guerra moderna. Il risultato dell’asservimento dello strumento militare al potere politico e oligarchico dove, per un ventennio, si è dato spazio al clientelismo e alle amicizie di clan, invece della meritocrazia e della ripartizione dei compiti degni di una potenza nucleare moderna.
I tipici errori di pianificazione militare nelle dittature totalitarie
Questo errore appena citato, fu proprio del periodo staliniano. Dove solo i fedelissimi del partito, anzi del dittatore, arrivarono a ruoli di potere scampando per servilismo l’eliminazione nel corso delle purghe, dimostrandosi poi dei perfetti incapaci sul campo. Causando milioni di morti e arrivando a vincere una campagna contro i nazisti sul fronte orientale, solo confidando su masse umane mandate al macello, in grado di travolgere i tedeschi numericamente, senza alcun criterio militare valido.
L’aggressione russa in Ucraina ha confermato questi metodi, con l’aggravante che gli aspetti organizzativi, tattici, tecnologici e qualitativi rivestono un ruolo molto maggiore nelle operazioni militari del XXI secolo rispetto al XX secolo. E dove grandi masse di uomini mandati al macello risultano molto meno efficaci e molto meno disponibili che ai tempi di Hitler e Stalin.
Si tratta di errori che abbiamo conosciuto anche nella storia militare italiana durante il fascismo. Ad esempio nell’assurda pianificazione dell’aggressione alla Grecia dell’ottobre del 1940. Anche l’attacco italiano alla Grecia si trasformò ben presto in un fiasco militare e mediatico di dimensioni colossali, costato decine di migliaia di vite umane al nostro Paese. Lì, il comando italiano si dimostrò assolutamente incapace di capire la realtà e di pianificare di conseguenza. Anche lì, l’asservimento al dittatore fece emergere un gruppo militare dirigente di bassa qualità e in ogni caso incapace di dire la verità al dittatore assoluto per paura di rappresaglie.
Tutto ciò è sistematicamente successo ai russi in Ucraina. Dimostrando che gli alti ufficiali russi hanno evitato di dire al leader assoluto come stavano effettivamente le cose. Oppure non lo hanno capito loro stessi. In due parole, le speranze di facile successo sono state nutrite dalla stessa propaganda russa anche nelle alte sfere dirigenti. Conducendo a un disastro.
Il blitzkrieg che non fu: avanzate di colonne blindate insufficienti e scoordinate
A seguito, e quasi contestualmente, a questa prima fase, si è sviluppata la seconda fase, quella della penetrazione terrestre su più direttrici. Iniziamo ad analizzare l’avanzata da nord e da nord est, vale a dire dalle vie d’accesso della Bielorussia, le più brevi per arrivare alla capitale Kyiv. Gli errori russi in questa grande manovra strategica sono quelli che saltano più agli occhi.
Anche in questo caso, la storia insegna che un paese che si intenda invadere, deve essere invaso da un numero di forze sufficienti (almeno 8 a 1) a garantirsi una possibilità, al primo attacco, di annientare le difese nemiche, con un’autosufficienza logistica, di munizionamento e di carburante, tale da permettere un primo insediamento di consolidamento delle posizioni per alcune settimane. E, ancora più fondamentale, bisogna stabilire immediatamente le telecomunicazioni e la gestione della HUMINT/ELINT (ricognizione e acquisizione obiettivi umana ed elettronica) in tempo reale e la più vasta possibile.
Inutile rimarcare che, anche in questo caso, il piano russo ha presentato aspetti di improvvisazione e incapacità tali da farlo sembrare qualcosa di raffazzonato e messo insieme per l’occasione da menti diverse che non si sono accordate in precedenza.
Ostacoli naturali e ambientali
Le caratteristiche oro-geografiche dell’Ucraina settentrionale, come già detto in precedenza, sono tali da presentare ostacoli naturali capaci di mettere in seria difficoltà anche un esercito moderno, come già fatto in passato per i tedeschi nella seconda guerra mondiale, nella prima guerra mondiale e, prima ancora, per l’armata napoleonica.
Motivo per cui, nell’era sovietica, vennero realizzate lunghissime arterie rettilinee che portano dal confine verso le città principali. Esse si sviluppano per centinaia di chilometri, in territori boscosi. Al di fuori di queste strade, il terreno è spesso paludoso e cedevole, molte volte impraticabile per i mezzi ruotati e insidioso per quelli cingolati. Anche a causa del micidiale fango che ostacola le ruote di trazione sui treni di rotolamento e il loro conseguente slittamento.
Ciò è ancora più evidente nella zona che va dalle propaggini nordoccidentali della periferia di Kyiv al confine Bielorusso. Cioè esattamente l’area di massima concentrazione di colonne corazzate russe di invasione. In questa zona tra Kyiv e Chernobyl, sulla riva occidentale del Dnipro, strade di modesta capacità collegano centri minori alla capitale nel bel mezzo di paludi e foreste, fino all’area contaminata della famigerata centrale nucleare.
Nonostante ciò, l’aggressione russa all’Ucraina è avvenuta in questo modo: contando sulla rapida disfatta delle forze confinarie e delle difese (invero approssimative), poste in essere dagli uomini di Kyiv. Contando cioè su un blitzkrieg basato su colonne corazzate che avevano poco spazio per manovrare, spesso in un terreno particolarmente inadatto. Particolarmente inadatto a sviluppare avanzate corazzate esattamente nel principale asse strategico: quello che va dal confine bielorusso alla capitale ucraina.
Il blitzkrieg che non fu: sottovalutazione della resistenza ucraina
L’eccesso di sopravvalutazione delle proprie forze e la sottostima di quelle avversarie, in guerra, porta quasi sempre alla disfatta. In questo specifico caso, poi, è subentrato un fattore cardine, epocale. E cioè la difesa del proprio territorio da un nemico invasore, vero moltiplicatore di forze in ogni guerra.
Non stiamo qui a spiegare la secolare distanza che separa russi da ucraini. Però è utile ricordare la continua volontà di Mosca di cancellare una nazione autoctona e resiliente, con una propria cultura, lingua, religione e storia umana.
Già solo questo avrebbe potuto spiegare al più stupido degli strateghi russi che, in queste condizioni e con queste premesse, è impossibile conquistare un paese di grandi dimensioni. Per giunta, programmando una invasione con forze scarne, male equipaggiate e mal dirette.
Inoltre, l’Ucraina è un Paese dove ogni abitante è un fiero sostenitore della propria indipendenza, animato da spirito patriottico e nazionale. E, cosa non irrilevante, per decenni è stato allevato fin da bambino, grazie proprio al comunismo sovietico, ai concetti di “guerra di popolo”.
Gli ucraini si sono rivelati pronti proprio perché avevano già da tempo assimilato e sposato i concetti di resistenza partigiana e difesa della Madrepatria. Tradotto in poche parole, l’intera popolazione era già in grado di imbracciare le armi e battersi per la propria vita, senza le remore dei cittadini occidentali. Così come è stata in grado di battersi quale corpo unico di resistenza.
Lo spirito combattivo degli ucraini è stato quello di un popolo fiero e per giunta costretto dall’invasore a ritrovarsi con le spalle al muro senza altra scelta che battersi o soccombere.
Dai successi iniziali all’arresto dell’avanzata russa
In effetti, passato il “momentum” iniziale dello sfondamento locale delle difese i russi hanno rallentato vistosamente. A mano a mano che le colonne russe si sono avvicinate a Kyiv, quindi fino a Bucha e Irpin, massima espansione delle puntate offensive, le linee di difesa ucraine si sono irrigidite progressivamente. Fino ad essere compattate al punto di restringersi a riccio intorno alla capitale, trasformata in un potenziale scenario di combattimento urbano. Uno scenario tanto caro ai russi (in negativo) da paventare una nuova Grozhny oppure una nuova Stalingrado.
Anche in questo caso, il pressapochismo e il dilettantismo militare russo hanno fatto la differenza.
L’allungarsi delle colonne meccanizzate sulle strade per decine di chilometri, avanzando in linea retta e senza la minima ricognizione avanzata e sui fianchi, in campo aperto poi, o nelle vie principali dei villaggi, ha dato l’opportunità ai difensori, pur sensibilmente inferiori per numero e mezzi, di strutturarsi in modo tale da rendersi pericolosissimi e quasi invisibili. Gli ucraini sono stati abili a sfuggire ad ogni tipo di presa di contatto (tattica “shoot and scoot”).
Le colonne corazzate russe distrutte in imboscate continue
Seguendo alla lettera la manualistica operativa della NATO che per decenni ha pianificato operazioni difensive nelle pianure e nelle città tedesche in caso di sfondamento del WARPACT dal cosiddetto “Fulda Gap”, gli ucraini hanno applicato nella realtà le lezioni apprese. Riuscendo così a combattere una serie di battaglie difensive con costanti imboscate alle colonne corazzate russe.
Hanno agito colpendo i mezzi di testa e di coda, imbottigliando il resto delle unità e distruggendo metodicamente con piccoli reparti armati di missili anticarro e lanciarazzi individuali, montati su mezzi leggeri ad alta mobilità. Oppure posizionando i pochi carri rimasti in organico in posizioni d’agguato “a scafo sotto”, sparando per distruggere qualche mezzo nemico prima di riposizionarsi in altro sito a ripetere l’azione tattica.
I russi hanno perduto il maggior numero di mezzi proprio in questa fase, al nord e a nord est. Centinaia di carri e IFV russi si sono ritrovati a bruciare in mezzo alle strade e sul limitare dei boschi, insieme a centinaia di preziosissimi equipaggi. Oltre ai mezzi, i russi hanno così perso equipaggi che erano gli unici veramente esperti. Altro fattore, questo, che caratterizzerà, come vedremo, le fasi successive della guerra.
I crimini di guerra perpetrati dai soldati russi
Come prevedibile in un esercito indottrinato da un regime autoritario, la reazione russa è stata quella di scatenare l’inferno sugli incolpevoli civili e sulle inermi città attraversate o occupate dalle truppe.
Gli esiti di questa bestiale e insensata modalità di comportamento si sono visti proprio a Bucha e Irpin fin dalle prime settimane di aggressione. Sono stati replicati quasi ovunque essi siano passati. Generando un corollario di crimini di guerra tali da scavare un solco incolmabile tra russi e ucraini per i prossimi decenni, se non per generazioni intere.
Questi crimini sono stati sistematicamente negati dai russi e i loro propagandisti come li negavano i nazisti di Hitler e i comunisti di Stalin.
Ma le prove oggettive raccolte da organismi internazionali e indipendenti di investigazione sono semplicemente immense. Inoltre, proprio le unità che si sono macchiate di questi crimini, sono state visibilmente decorate dal regime russo e da Putin in persona. Dimostrando così che, invece di indagare sulle loro malefatte, il regime russo si è affrettato a premiarle e decorarle per motivi difficilmente plausibili dal punto di vista dei risultati militari, visto che queste stesse unità hanno subito evidenti sconfitte.
Il blitzkrieg che non fu: i problemi cronici di organizzazione
Nella prima fase della guerra sono emerse altre gravissime mancanze tipiche nella dottrina militare d’ispirazione sovietica. Ad esempio, la mancanza cronica della figura sul campo dei sottufficiali, colonna portante di ogni esercito degno di questo nome. Sottufficiali presenti negli eserciti delle maggiori potenze di oggi, tranne, appunto, in quello russo.
Proprio per la paura stalinista di creare centri di pensiero e di cultura militare, oppure leadership personali e carisma nocivi alla dottrina socialista dell’“obbedire senza fiatare”, la figura del sottoufficiale è inesistente nell’esercito russo. A ciò si aggiunge la mancanza cronica di autonomia decisionale e tattica per gli ufficiali, perennemente ingessati nella rigida logica comunista di comando “a cascata”. Un errore che, ad esempio, non troviamo nelle manovre degli eserciti occidentali. Non lo troviamo nemmeno nel blitzkrieg tedesco della seconda guerra mondiale.
Il blitzkrieg che non fu: problemi cronici nelle comunicazioni dell’esercito russo
Autolesionistica, poi, la scarsa diffusione di un sistema di comunicazioni efficientemente criptate tra i reparti russi. Ciò è presente solo per gli apparati GLONASS di alcuni mezzi moderni russi, ma assente dalla totalità degli altri.
Evidenze sul campo infatti dimostrano la presenza di carte stradali e atlanti cartacei a bordo dei mezzi russi. Numerose evidenze confermano ordini trasmessi in chiaro dai russi per radio o con telefoni cellulari GSM, utilizzando peraltro una lingua compresa e parlata anche dal nemico.
Dunque i russi hanno operato con comunicazioni “in chiaro”, sistematicamente intercettate dagli ucraini. Un modo di fare che ha portato a disastri russi anche in altre occasioni, come nelle battaglie di Tannenberg e dei Laghi Masuri nel 1914. D’altronde, il problema di eccessiva sopravvalutazione delle proprie forze è molto antico nell’esercito russo. Secondo alcuni studiosi e scrittori, anche russi come Tolstoj in “Guerra e Pace”, la tracotanza dei comandi è rilevabile anche ai tempi napoleonici. Ed è stata decisiva, in negativo, ben prima, come nell’assedio di Azov del 1695.
Fronte meridionale più adatto alle puntate corazzate
Da un punto di vista di mobilità offensiva, il fronte meridionale e orientale ha presentato condizioni migliori per l’avanzata. Si tratta infatti di migliaia di chilometri quadrati di pianure dove rapide punte avanzanti di mezzi blindati possono favorire il blitzkrieg.
In effetti, qui, la presa di Kherson, unico capoluogo di regione di dimensioni significative conquistato dai russi, ha rappresentato la massima espressione della spinta offensiva russa. Sebbene non sia ad oggi chiaro se la caduta della città sia stata agevolata da compiacenti soggetti istituzionali locali che hanno favorito l’accesso degli invasori a scapito della difesa, oppure ad altri fattori specifici.
La zona meridionale dell’Ucraina si sarebbe potuta giovare di una maggiore fortificazione sull’istmo che la collega alla Crimea. D’altro canto, però, l’inziale superiorità aereo-navale russa sul Mar Nero ha giocato un ruolo fondamentale nel favorire l’avanzata russa fino quasi a Mykolaiv ad ovest e fino a Mariupol a oriente.
Attrito e distruzioni a Mariupol
Totalmente differente, invece, è stata la battaglia per Mariupol. Si tratta di una città portuale dotata della più grande acciaieria europea intelligentemente trasformata dai difensori in caposaldo fortificato. Obbligando così l’esercito russo a un’antitesi del blitzkrieg. E cioè a un lungo assedio costoso in termini di uomini e mezzi, privo di utilità su di un piano strategico e foriero di sciagure per gli stessi attaccanti.
Qui i russi si sono impantanati in una guerriglia urbana sanguinosa tenendo bloccate ingenti forze che sarebbero state molto più utili in un’altra parte dell’immenso fronte. Sommando quindi il peggio del combattimento urbano al peggio della strategia di penetrazione in territorio nemico. I russi hanno attaccato per settimane in anguste aree urbane dove il rapporto di forze non può essere di soli 3 a 1 su centinaia di chilometri di estensione, ma almeno di 8 a 1 localmente per assicurare un successo.
Eroicamente difesa dal Battaglione Azov e da unità ridotte di fanti di marina e reparti territoriali passati direttamente nella leggenda delle gesta militari, Mariupol si rivelerà un disastro strategico per i russi. Mariupol alla fine cadrà, ma la resistenza dei difensori darà tempo all’organizzazione militare e alla piena mobilitazione ucraina.
Immense quantità di materiali e uomini perse dai russi
Con la caduta di Mariupol in mani russe, teatro di efferatezze ai danni della popolazione civile per opera dei miliziani mercenari ceceni, fatti indegni di popoli civili, i russi dovranno fare i conti con la situazione quantitativa delle loro forze d’invasione e con il celere decadimento dei mezzi impiegati.
In questo frangente, agli occhi finalmente spalancati degli analisti militari europei ed americani ha cominciato a farsi largo l’idea di ciò che veramente abbia messo in campo Mosca. In questi primi mesi di guerra l’esercito russo ha già perso almeno il 75% dei carri armati moderni a disposizione (T90 e T72BM e BV su tutti), usati con criteri assurdi.
L’esercito russo ha anche dilapidato il 57% dei veicoli da fanteria (BTR e BMP). Mezzi notoriamente vulnerabili (da decenni) e mai sostituiti con qualcosa di più adatto ai tempi. E, cosa ancora più importante, ha perso migliaia di uomini addestrati alla guerra di manovra. In due parole, l’esercito russo perde i mezzi migliori e migliori “professionisti delle armi” che aveva a disposizione. Il blitzkrieg è fallito prima ancora di incominciare.
Un altro elemento fondamentale è stata la condizione infima di mantenimento dei mezzi militari russi, corazzati o meno. Decenni di corruzione nell’apparato militare russo sono risultati in mezzi militari privi o quasi di manutenzione e dunque molto più vulnerabili.
Una grande quantità di mezzi militari sono stati abbandonati dagli stessi russi perché non più utilizzabili dopo pochi giorni di azione bellica in territorio ostile. In breve tempo, la logistica russa ha fatto tilt a causa di enormi quantità di camion distrutti in imboscate o semplicemente resi inutilizzabili dalla mancanza di manutenzione.
I criminali della Wagner
In questo scenario fanno la loro comparsa i mercenari del Gruppo Wagner. Prima sono utilizzati in piccole unità impiegate in colpi di mano rapidi e puntate offensive veloci. Poi saranno utilizzati in operazioni più ampie. Ottimamente armati e ben retribuiti per gli standard russi, con l’esperienza accumulata in Siria, Libia e nel Sahel, poco a poco entrano in prima linea affiancando i reparti regolari. Cercando così di rimpolpare i vuoti russi dei reparti regolari depauperati da decine di migliaia di perdite tra morti, feriti, prigionieri, ammalati e disertori (sempre più numerosi),
I criminali della Wagner sono in realtà un esercito nell’esercito. Hanno una catena di comando propria, parallela all’esercito russo ma per certi versi autonoma e non integrata nelle operazioni strategiche dell’Alto Comando di Mosca.
In effetti, i mercenari della Wagner mostrano una serie di analogie con i reparti delle SS naziste. Non solo nei simboli e nelle ideologie, ma anche nei metodi brutali e criminali e nella loro parziale, e persino totale, autonomia rispetto all’esercito regolare. Similitudine anche nel metodo di reclutamento presso criminali comuni nelle carceri che si prestano a un’ideologia di guerra e genocidio. Come le SS naziste, si dedicano all’annientamento di avversari armati come di civili inermi. Come le SS impiegano torture, pressioni psicologiche, lo stupro e l’annichilimento morale e materiale quale metodo di guerra ideologica.
Il blitzkrieg che non fu: i russi iniziano a utilizzare carri armati obsoleti
Dopo Mariupol cominceremo a vedere in linea, utilizzati principalmente come artiglieria a tiro indiretto, anche i primi esemplari di carri T62 degli anni ’60. Fatti arrivare dai depositi (veri cimiteri di rottami) esistenti oltre gli Urali, a volte arrugginiti e non più idonei alla guerra di manovra, si tratta di veicoli in condizioni infime. E anche integri sono mezzi obsoleti per una guerra del XXI secolo.
I russi sono stati costretti a mobilitare questi mezzi antiquati per ripianare le perdite subite. Ciò ha rappresentato un segnale che verrà captato solo da pochi attenti osservatori occidentali e poco pubblicizzato. Circostanza che avrebbe aiutato e non poco le politiche di sostegno a Kyiv nell’invio di armi moderne per ricacciare l’avversario indietro. Combattendo al contempo la controinformazione russa sul “mancato successo delle sanzioni”.
Infatti, l’impiego di carri armati obsoleti russi già nel marzo del 2022 non fa che provare quanto il blitzkrieg russo in Ucraina fallisca già nelle prime settimane. Dal momento che, per realizzare un blitzkrieg, non è concepibile dotare l’arma portante con mezzi corazzati inadeguati alle esigenze dello stesso blitzkrieg. E l’utilizzo di mezzi obsoleti da parte russa prova che le sanzioni funzionano nel ridurre le capacità di produzione di mezzi moderni.
In ogni caso, l’utilizzo di mezzi militari obsoleti e inefficienti ha finito per cancellare ogni speranza di blitzkrieg russo per mesi.
L’Ucraina ferma l’offensiva russa e prepara le controffensive
Da parte ucraina si comincia a parlare di “contenimento delle offensive russe” e si diffonde la metodologia di impiego di veri e propri “game changers” sul campo di battaglia, quanto meno sul piano tattico. Cioè di armi nettamente superiori a quelle russe e capaci di cambiare drasticamente il corso della guerra.
Vengono infatti impiegati in gran numero i droni turchi d’attacco Bayraktar, i missili anticarro Javelin e altre armi per la fanteria anticarro. Sono tutte armi a pieno titolo del XXI secolo, spesso altamente tecnologiche, con profilo d’attacco dall’alto. Ed è dall’alto che i carri russi sono più vulnerabili.
Da citare anche i missili antiaerei britannici Starstreak, in grado di abbattere elicotteri e anche missili da crociera subsonici. Si comincia a parlare anche dei semoventi ruotati francesi Caesar e degli anglo-polacchi AS90. Armi in grado di sparare con accuratezza centimetrica sui depositi logistici russi e sulle unità di artiglieria statiche o prive di controllo del fuoco satellitare.
Si comincia anche a comprendere la vera capacità di sostegno indiretto occidentale sul campo di battaglia. Ad esempio con l’utilizzo di sistemi da ricognizione automatizzati (droni) e satellitari. Mezzi in grado di trasmettere le coordinate dei bersagli alle unità di fuoco in modo rapido ed efficace. Senza dimenticare il ruolo degli AWACS della NATO. Sistemi che tracciano centinaia di obiettivi con grafica tridimensionale e li inviano, in modalità criptata, alle forze ucraine al suolo.
Si aprono nuovi scenari: l’esercito ucraino prende l’iniziativa
Tutto quindi pare pronto al successivo cambio di passo in questa guerra. La nuova fase vedrà per la prima volta l’esercito ucraino prendere l’iniziativa. Poi a pianificare controffensive volte a strappare al nemico il controllo di territori precedentemente occupati.
Nei prossimi articoli analizzeremo le fasi successive con le tre principali controffensive ucraine: a nord di Kyiv, nell’area di Kharkiv e Kupjansk e la liberazione di Kherson. Infine analizzeremo la situazione attuale che si è venuta a creare da novembre scorso e le prospettive future.
In copertina, foto di Alex Fedorenko su Unsplash.