“Un’indagine pericolosa”, una di quelle indagini che ti permettono di capire il vero humus del territorio. Di quelle che, all’improvviso, diventano nei fatti pericolose. E in un attimo trasformano l’investigatore in indagato e l’indagine in un nulla di fatto
di Roberto Greco
Capaci, paese erroneamente associato alla strage del 23 maggio 1992 in cui persero la vita Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro in quanto avvenne nel territorio di Isola delle Femmine, è una località in provincia di Palermo. Poco più di 11.000 abitanti, Capaci sorge in un’area pianeggiante che si affaccia sul mar Tirreno. In questa località è ambientata l’indagine pericolosa cui fa riferimento il libro di Giuseppe Lo Bianco, cronista di giudiziaria e autore di diversi saggi sul rapporto tra mafia e politica.
Sgombriamo subito il campo dai dubbi. Non si tratta di un romanzo ma, com’è riscontrabile nella cronaca che va dal 2018 a oggi, di un fatto realmente accaduto.
Insomma, si è trattato veramente di un’indagine pericolosa quella che il luogotenente Paolo Conigliaro, all’epoca maresciallo e comandante della stazione dei Carabinieri di Capaci, si è trovato davanti. Un’indagine di quelle che ti permettono di capire il vero humus del territorio. Un’indagine di quelle che, all’improvviso, diventano pericolose e, in un attimo, trasformano l’investigatore in indagato e l’indagine in un nulla di fatto.
Un’indagine pericolosa: il ritratto dell’investigatore
Nel suo lavoro Lo Bianco traccia il ritratto di Paolo Conigliaro, dalla sua decisione di diventare Carabiniere, ai suoi primi passi nell’Arma – nella quale si arruola nel 1987 – sino a oggi. Quello che ne esce, senza nessuna concessione al facile romanzare, è il ritratto di un acuto investigatore, con un enorme bagaglio di esperienza nel contrasto alle mafie e moltissime indagini che, grazie al suo fiuto investigativo e alle sue intuizioni, si sono concluse con la vittoria dello Stato.
Un maresciallo di stazione, questa potrebbe essere la definizione di Paolo Conigliaro ma, sicuramente, un maresciallo di razza. Molto spesso, purtroppo, si tende a sminuire il ruolo dei “marescialli di paese”. Come fu per il maresciallo Antonino Lombardo, che fu anche comandante della stazione dei Carabinieri di Terrasini e morto il 4 marzo 1995, di cui Paolo Borsellino disse: «Quando parla il maresciallo Lombardo bisogna stare zitti e ascoltare».
Dopo il suo arrivo a Capaci nel 2013, il maresciallo Conigliaro, si rende conto che Cosa Nostra non è stata affatto sconfitta, nonostante l’arresto di Totò Riina nel 1993 e di Bernardo Provenzano nel 2006. Conigliaro capisce che è diventata semplicemente invisibile e che una parte dell’antimafia sta utilizzando gli stessi metodi affaristico-mafiosi per la gestione dei territori e del potere.
Non era stato ancora, ad esempio, arrestato Antonello Montante, l’ex presidente della Confindustria siciliana condannato in Appello a otto anni di reclusione per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e accesso abusivo al sistema informatico.
Ma, in realtà, il fiuto di un investigatore “sente” un territorio che è permeabile.
Un territorio particolare
Un territorio in cui gli interessi politico-economici entrano in contatto con quello che, giornalisticamente, fu definito “il cerchio magico” di Antonello Montante. Si tratta di quella fitta rete densa di scambi di favore e d’interessi che, le indagini del Conigliaro lo dimostreranno, riesce a insinuarsi anche nel territorio capaciota.
Un cambio di destinazione d’uso di un terreno, le prospettive dell’apertura di una struttura della grande distribuzione. Sono queste le prime avvisaglie che mettono l’investigatore all’interno di una storia che ricorda “Le mani sulla città” di Francesco Rosi. L’operato di Conigliaro, come anticipato, sarà non solo ignorato, non fu mai dato seguito alla sua richiesta di commissariamento del Comune di Capaci, ma egli stesso sarà indagato e allontanato dal suo ruolo. Nel 2020 sarà rinviato a giudizio anche al Tribunale militare di Napoli per poi essere assolto in appello due anni dopo una serie di denunce architettate ad arte che miravano esclusivamente a delegittimare lui e le sue indagini.
L’autore e il suo stile
Lo Bianco sfrutta al meglio la sua capacità di cronista, pur mantenendo la debita distanza dal taglio prettamente giornalistico, e ci accompagna lungo i binari di questa storia.
Lo fa supportato da atti e documentate cronache del periodo diligentemente indicate nelle note che seguono ogni capitolo e in dettagliato elenco che indica le fonti utilizzate reperibili sul web. In appendice un’intervista al Generale Paolo Azzarone, della DIA, che, nella bufera che travolse Conigliaro, approvò per meriti il suo passaggio alla DIA, dove tutt’oggi il luogotenente svolge il suo lavoro di investigatore. La prefazione è realizzata da Attilio Bolzoni.
Al termine della lettura del libro di Lo Bianco un paio di domande sorgono spontanee. «Saremo Capaci di cambiare?» è la prima. Mentre la seconda è «Se è vero che “non è tutto oro ciò che luccica” saremo mai in grado di distinguere l’antimafia di facciata, i cui interessi non sono governati dall’unica finalità che è quella di restituire legalità ai nostri territori, da quella sana, lontana dai centri di potere politico-mafioso?»
“Un’indagine pericolosa” di Giuseppe Lo Bianco – Zolfo Editore 2022 – pagg. 168
In copertina a questo articolo, l’autore Giuseppe Lo Bianco.