Ci sono tanti modi per considerare un’emigrazione completata. Il modo della terra di Pirandello a New York non può essere che pirandelliano, con la storia di “puci siccu mangia maccu”
di Pasquale Hamel
In una fredda giornata d’inverno, col vento che spazzava la strada e lo costringeva a chiudere gli occhi, il nostro avanzava stancamente per una Fifth Avenue a New York stranamente semideserta. Nella sua mente, tormentata da antichi ricordi, irrompevano immagini del suo non sempre felice passato.
Così, quella lunga e lussuosa arteria, sovrastata da edifici immensi che incombevano quasi sinistramente sulla gente, magicamente si trasfigurava per richiamare la solare via Roma. La strada principale della sua natia Marina di Porto Empedocle, spesso spazzata dal vento di scirocco che, purtroppo, un giorno non molto lontano era stato costretto ad abbandonare per guadagnare condizioni di vita più dignitose a New York.
Puci siccu mangia maccu
Melanconici rimpianti di quei luoghi e della sua gente. Proprio quella gente con cui ce la doveva avere visto che non gli avevano perdonato quei difetti fisici che madre natura gli aveva regalato.
Infatti ricordava bene d’essere stato bersaglio dei frizzi e dei lazzi dei compaesani. E proprio per questo allora, più d’una volta, aveva pensato in cuor suo che sarebbe stato felice di “mandare a quel paese tutti”. E così sfuggire alla condanna che il destino cinico e baro gli aveva riservato in vita.
Non dimenticava come fosse stato odioso quel “puci siccu mangia maccu” (“pulce magra mangia macco”). Il ritornello con cui veniva additato da punta e punta di via Roma a Porto Empedocle. La breve frase ingiuriosa risuonava sempre a ogni suo passaggio.
Terra di Pirandello a New York: la nostalgia di casa fa brutti scherzi
Eppure, a pensarci bene, quel richiamo molesto, nonostante tutto, nel suo esilio nostalgico, non gli sarebbe dispiaciuto riascoltare.
Tanto per scaldarsi il cuore. Alimentando, e se ne accorgeva in momenti come questi, quei sentimenti che lo legavano così tenacemente alle radici della sua terra: Porto Empedocle, la terra di Pirandello. Nonostante sarebbe stato poco onesto non riconoscere che l’migrazione a New York gli aveva regalato una condizione perfino agiata,
Ma erano sogni, illusioni inconsistenti che la cruda realtà in cui viveva ben presto fugava. Quel richiamo, ieri ingiuria oggi forse giocoso scherzo, salvo un miracolo, non sarebbe risuonato più nelle sue orecchie.
Ne era così convinto che, quando il silenzio della strada fu infranto dal grido “puci siccu mangia maccu”, immaginò che fosse un frutto perverso della sua fantasia.
Ma, invece, quel grido risuonò ancora per la Fifth Avenue. Tanto da costringerlo a fermarsi per cercare da dove provenisse.
Si completa lo sbarco della terra di Pirandello a New York
Non ci volle molto a capire che a qualche decina di metri da lui avanzava, strascicando un piede, l’anziano dr. Comella, un medico marinisi emigrato in America qualche anno dopo di lui, che si era affermato negli States come professionista di vaglia.
Felice come una Pasqua, il nostro raggiunse il compaesano e, abbracciandolo, non seppe fare altro che dirgli “puru ‘cca, a Novayorca, puci siccu mangia maccu, u’ po’ mancari” (anche qui, a New York puci siccu mangia maccu non può mancare).
Fu così che la terra di Pirandello completò la sua emigrazione a New York.
In copertina, New York, foto di Malte Schmidt su Unsplash (ritagliata).
Le altre storie della rubrica di Maredolce.com “Pirandellate”, a cura di Pasquale Hamel, sono rintracciabili cliccando qui.