“La Rosa Bianca dell’Apocalisse” di Giovanni Villino: un viaggio che lo stesso autore definisce distopico proprio a rappresentare che l’utopico sogno di quella città che fu capitale del mondo, al tempo conosciuto, può disgregarsi definitivamente sotto l’influsso della conseguenza degli eventi non controllabili dall’uomo
di Roberto Greco
Una Palermo insistente all’interno di uno scenario apocalittico, uno di quegli scenari degni dei migliori film americani che, in un mix tra post pandemia e post cambiamento climatico, si presenta come un corpo amputato dei propri arti.
Un corpo quasi esanime che vive, sofferente, solo grazie ai sopravvissuti che trasformano la città per renderla vivibile e che “La Rosa Bianca dell‘Apocalisse”, il romanzo d’esordio di Giovanni Villino, trasmette senza indugio datando la storia al 2042, dopodomani.
Una Palermo così diversa, ma in fondo così uguale, in cui la forma città è completamente sgretolata, che diventa un luogo in cui il senso di comunità è parcellizzato dal contesto invivibile e dall’individualismo.
Una Palermo che vive in piccole comunità (Teatro Massimo, Teatro Politeama, San Francesco di Paola e Spinuzza) all’interno delle quali si fanno i conti con logiche solidaristiche, spesso individuali, per difendersi dagli attacchi esterni dei propri simili, diventati “diversi”.
Una città con un muro, nero, forte, invalicabile, quasi a negare la possibile e straordinaria apertura di una città che, per definizione, è sempre stata ritenuta aperta.
Villino racconta i riti che in Sicilia vengono tramandati e mai spiegati
L’autore mette assieme tradizioni, leggende e storie popolari con richiami all’iniziazione massonica e alla conoscenza dei Rosacroce al fine di creare una società senza certezze scientifiche cancellate dal ritorno di riti ancestrali, di quei riti che in Sicilia vengono tramandati e mai spiegati.
Agile la penna dell’autore, Villino è un giornalista e un solido cronista, che ci accompagna in un viaggio che egli stesso definisce distopico proprio a rappresentare che l’utopico sogno di quella città che fu capitale del mondo, al tempo conosciuto, può disgregarsi definitivamente sotto l’influsso della conseguenza degli eventi non controllabili dall’uomo.
L’autore racconta luoghi reali che diventano simulacro di rappresentazione che si muove tra il sacro e il profano, tratteggia personaggi che, seppur quotidiani, vivono la mutazione che li aspetta, una mutazione culturale, sociale e mistica.
Un Blade Runner nostrano ambientato in un medioevo prossimo futuro
Villino cavalca con sapienza e senza troppa enfasi profezie ed eventi catastrofici incuneando lo scorrere quotidiano dei suoi protagonisti non più padroni del proprio destino ma vittime, consapevoli, della loro fine alla quale cercano, a vari livelli, di reagire. Protagonisti che sono costretti a vivere un quotidiano che non gli appartiene e che non avrebbero mai immaginato di vivere. Che cercano, disperatamente, qualcosa cui aggrapparsi, qualcosa in cui credere.
Protagonisti alla ricerca in un nuovo Sacro Graal, un quaderno di appunti, che diviene l’incarnazione della necessità di ricominciare la propria storia dalle radici, dimenticate ma ancora presenti. Protagonisti che sono costretti a vivere luoghi oramai scarnificati del loro ruolo tradizionale ma che, nonostante questo, mantengono inalterate le loro peculiarità, la loro sacralità e i propri misteri.
Un Blade Runner nostrano dove, però, la tecnologia è ridotta ai minimi termini e i luoghi sono raggiungibili solo grazie a ore di cammino. Un Blade Ranner siciliano ambientato in un medioevo prossimo futuro. Un monito o una premonizione?
“La Rosa Bianca dell’Apocalisse” di Giovanni Villino – 215 pagine