I vecchi riti di Cosa Nostra scoperti dall’operazione “Picaneddu”
di Giovanni Burgio
A Catania nella vecchia borgata Picanello (o Picaneddu) si conservano ancora gli antichi rituali mafiosi. Capi e soldati dell’omonimo gruppo mafioso, appartenenti alla famiglia Santapaola-Ercolano, sono orgogliosi di “baciarsi a stampo”, cioè sulle labbra, in pubblico. Comunicano così orgogliosamente all’esterno che si fa parte dello stesso clan. (Qui il video di un bacio in un servizio di Live Sicilia).
Ma c’è anche un’altra tradizione a cui il gruppo tiene tanto: la distribuzione a Pasqua delle uova di cioccolato a tutti gli affiliati.
Insomma, nella roccaforte della più titolata famiglia di Cosa Nostra catanese, attraverso questi arcaici rituali, ci si protegge dalle infiltrazioni esterne e non si cede alla modernizzazione e agli usi odierni.
Il 15 ottobre a Catania, a conclusione dell’operazione “Picaneddu”, sono state arrestate nove persone, due sono ricercate, quattro sono andati agli obblighi di dimora.
I vertici dell’organizzazione
Intercettazioni, telecamere, pedinamenti, hanno permesso di ricostruire la struttura di vertice, l’organizzazione e i traffici illeciti del gruppo Picanello. Innanzitutto la catena di comando di questi ultimi anni.
Dopo l’arresto nel gennaio 2017 dello storico boss Giovanni Comis al termine dell’operazione “Orfeo”, è stato Carmelo Salemi, detto “il mare”, il capo indiscusso del clan.
La sua reggenza è durata da giugno 2017 a maggio 2020, quando anche lui è finito in carcere con l’operazione “Jungo”. Da quel momento in poi si presume che i due collaboratori di Salemi, Giuseppe Russo e Vincenzo Dato, abbiano preso le redini del clan, fino al loro arresto del 15 ottobre.
Poi il riciclaggio e i business.
I mafiosi e la casa discografica dei neomelodici
Tra gli affari più importanti del gruppo, sicuramente il più originale è stato quello che ha riguardato la casa discografica “Q Factor Records s.a.s.”. Durante le indagini, infatti, è emerso che questa etichetta di registrazione utilizzata da molti cantanti neomelodici è senz’altro riconducibile al boss Giovanni Comis. Costituita nel 2015 e intestata a suo figlio Massimiliano e all’imprenditore Andrea Consoli, avrebbe fatto da “lavatrice” di denaro sporco.
Infatti Consoli, titolare di un’impresa di ferramenta e prodotti siderurgici, avendo ricevuto 500 mila euro da Comis, in sostanza avrebbe creato una confusione patrimoniale tra la sua azienda e la casa discografica per occultare i proventi illeciti accumulati dal boss.
Ma questa s.a.s. avrebbe avuto anche un’altra funzione: fare da cassaforte e bancomat del capomafia. Infatti, la moglie di Comis, al bisogno, chiedeva denaro contante al Consoli. E, particolare curioso, solo e soltanto lei poteva chiederlo; i figli no. A loro è stata esplicitamente negata la riscossione della liquidità.
La casa discografica era un vanto per Giovanni Comis. Avendo speso 300 mila euro di macchinari e strumentazione, diceva in giro che era la seconda casa discografica d’Italia, una delle più avanzate da punto di vista tecnologico. L’impresa, comunque, ha ora subito il sequestro preventivo.
I mafiosi e il “livello politico”
I reati emersi durante le intercettazioni e contestati al clan vanno dalle estorsioni al recupero crediti, dal traffico di stupefacenti alla gestione di case da gioco clandestine.
Ma anche il livello politico è stato toccato. Nel corso delle registrazioni, infatti, ci sono discussioni tra gli associati in cui si afferma la necessità di eleggere, in un comune non ben identificato, un determinato numero di consiglieri comunali per approvare un affare di 200 mila euro.
Racconto quest’ultimo che ci conferma come ancora oggi nelle realtà comunali siciliane le i mafiosi hanno la concreta possibilità di spostare pacchetti di voti.
In copertina, un famoso fotogramma del film “Il Padrino – Parte II”.