La vicenda Maniaci-Saguto su Netflix
di Giovanni Burgio
Se oggi l’antimafia fosse ridotta a questo, le anime delle tante vittime cadute avrebbero di che rivoltarsi e urlare la propria indignazione. Ma non tutti quelli che oggi combattono Cosa Nostra sono così e, comunque, le battaglie dei decenni passati non sono state fatte invano.
Questo si può pensare alla fine della visione delle sei puntate di “Vendetta” visibile su Netflix. Un’opera complessa e interessante dei due registi palermitani Davide Gambino e Ruggero Di Maggio.
Si narrano, in parallelo e alternandosi, le due storie vere e realmente accadute di Silvana Saguto, ex magistrato del Tribunale di Palermo ed ex Presidente della sezione Misure di Prevenzione, e di Pino Maniaci, proprietario-editore-conduttore di TeleJato, piccola televisione in provincia di Palermo.
Il racconto
Entrambi nel 2016 vengono accusati dalla Procura di Palermo di vari reati. Al magistrato Saguto vengono imputati 39 capi d’accusa, fra cui corruzione, abuso d’ufficio e appropriazione indebita.
Al giornalista-editore Maniaci si contestano i reati di diffamazione ed estorsione. Il primo grado di giudizio ha visto Silvana Saguto condannata a 8 anni e 6 mesi per corruzione; Pino Maniaci condannato a 1 anno e 5 mesi per diffamazione e assolto per l’accusa di estorsione.
La serie televisiva è il risultato di un lunghissimo lavoro girato e raccolto per 15 anni dai due registi-produttori palermitani, che alla fine si sono concentrati soprattutto sulle vicende processuali dei due soggetti in questione.
Uno sforzo creativo e produttivo enorme e qualificato della “Mon Amour Films” di Gambino e Di Maggio, e di “Nutopia”, una casa di produzione televisiva inglese.
“Vendetta”: un documentario
Anche se viene spesso definito semplicemente “serie”, è a tutti gli effetti un “documentario”, perché dall’inizio alla fine i protagonisti e tutte le immagini sono ripresi dalla realtà, dal quotidiano scorrere degli eventi. Cioè, non ci sono né attori né voci fuori campo, né teatri di posa e nemmeno commenti dei registi.
Si vedono invece continuamente gli interni delle case del magistrato e del giornalista, la loro vita intima e familiare, la sede della televisione, le aule del Tribunale, i filmati originali dei servizi giornalistici, le interviste e le dichiarazioni dei due personaggi. Tutto montato cronologicamente, con alcune scritte esplicative e qualche filmato d’epoca.
Si può quindi definire una ricerca di “storia orale in video”, d’indagine giornalistica che attinge alle fonti dirette e autentiche. Un lavoro attento e ben fatto.
Uno dei risultati finali di questa enorme mole di documenti e testimonianze accumulate è il ritratto vero, vivo, sincero, del magistrato e del giornalista.
I loro volti, venendo ripresi da vicino, con le smorfie, i tic, le espressioni facciali spontanee e non controllabili, i lunghi silenzi imbarazzati o dolorosi, ci delineano la personalità più intima della Saguto e di Maniaci. L’una sicura di sé e imperiosa; l’altro goffo, ingenuo, ma anche arrogante.
L’antimafia arrogante in “Vendetta”
Ma è il loro ruolo pubblico che viene messo sotto accusa, è la loro “funzione antimafia” che ne risulta squalificata. La prima perché ricalca la figura del giudice-sceriffo, giudice inquisitore, giudice politico-ideologo, ormai purtroppo sempre più frequente nella magistratura “post-Falcone”.
Il secondo perché, come molti altri nel mondo dei “media”, utilizza il mezzo di comunicazione di massa come potentissima arma per colpire l’obiettivo prefissato.
I dubbi
E a questo punto riscontriamo la principale pecca di questa operazione mediatica. Dopo le sei ore di trasmissione, è tutta l’antimafia che ne viene fuori malconcia e dequalificata, non essendo per niente chiaro l’intento dei due registi di denunciare l’estrema ambiguità in cui si muovono questi due personaggi che dicono di combattere la mafia.
Cioè, non c’è una precisa e forte presa di distanza degli autori dall’operato del magistrato e del giornalista.
Non emerge e non si evidenzia, se non in pochissimi minuti alla fine con qualche immagine, il punto di vista dei registi a favore dell’antimafia seria, scrupolosa, professionale, che agisce lontana dalle luci della ribalta.
Si rimane quindi pervasi da un profondo senso di sconforto e da un atroce dubbio: a chi può giovare e quale può essere il fine ultimo di questa grande produzione televisiva?
La presa di distanza
Fortunatamente, a fugare tutti questi oscuri interrogativi interviene il chiarimento di uno dei giovani autori.
Nel video di presentazione della serie, Ruggero Di Maggio alla domanda dell’attore siciliano Ninni Bruschetta su “Che cosa vi ha veramente smosso dentro, cosa vi ha fatto arrabbiare in questa storia tanto da andare a raccontarla e lavorarci per 15 anni?” risponde (qui il video):
“Io non parlerei di rabbia. Io, da figlio di magistrato che è stato in prima linea nella lotta alla mafia, vedere che le icone antimafia, o meglio, il paravento del tema antimafioso potesse rappresentare, appunto, un paravento, una copertura, per agire invece in una maniera diversa, possibilmente criminale, ecco, quello ci ha veramente scosso.”
“Perché per me lì c’è proprio il tradimento. Cioè io parlerei di tradimento: il tradimento dei valori, il tradimento di una fiducia, il tradimento anche di una società. Soprattutto il tradimento di una nuova storia. Perché il ’92 non è passato remoto. Il ’92 è ieri. Quindi vedere che a distanza di vent’anni, di venticinque anni, dopo quello choc così forte, vedere che in queste due storie si era dimenticato probabilmente quello choc, si era dimenticata quella energia, ecco, quello potrei dire forse è stato il motore, l’energia fondativa di questa serie.”
Operazione commerciale?
Chiariti i propositi e gli intenti degli autori esplicitamente a favore della lotta alla mafia, si deve però evidenziare il linguaggio cinematografico semplice, spettacolare e sensazionalistico che è stato adottato. Un’impostazione che non giova certo all’originalità e alla qualità.
Ma bisogna tenere conto che essere distribuiti da Netflix significa raggiungere 600 milioni di spettatori in tutto il mondo, e che quindi bisogna parlare con un lessico facile, comprensibile, quasi elementare. Bisogna confezionare un prodotto adatto a tutti. Una scelta fatta dagli autori che va comunque rispettata.
La serie va vista e seguita attentamente. Sicuramente da chi non conosce le vicende processuali dei due protagonisti e vuole saperne di più di questi due personaggi “pseudo antimafiosi”.
Trailer della serie TV “Vendetta”
Intervista di Ninni Bruschetta a Davide Gambino e Ruggero Di Maggio: