Le vittime si ritrovavano a pagare interessi che oscillavano tra il 140% e il 5400%
di Giovanni Burgio
L’avvocato Alessandro Del Giudice è il protagonista assoluto dell’operazione “Araldo” che lunedì 20 settembre ha portato in carcere nove persone, una ai domiciliari e undici indagati a piede libero.
Tra Villabate, Ficarazzi e Bagheria l’avvocato aveva creato una fitta rete di usura che colpiva sia l’anonimo padre di famiglia sia il grosso commerciante. Le vittime erano persone rimaste indietro con i pagamenti delle tasse dovute al fisco italiano. Chiedendo soldi a prestito alle cosche di questo territorio, si ritrovavano a pagare interessi che oscillavano tra il 140% e il 5.400%. Una somma, cioè, di 500 euro in soli quattro giorni lievitava a 800 euro. Un “prestito” di 2.900 euro in pochissime settimane diventava 6.000 euro.
E tutto questo grazie anche alle soffiate di Girolama Venturella, dipendente di Riscossione Sicilia. Era lui che forniva all’avvocato i nominativi dei debitori verso lo Stato.
L’indagine è partita tre anni fa dalle intercettazioni registrate in carcere fra il boss di Misilmeri Pietro Formoso e il suo avvocato difensore Alessandro Del Giudice, il quale, oltre a far passare fuori le mura i messaggi di Formoso, avrebbe creato l’affare dei soldi prestati a strozzo, di cui si sarebbe occupato soprattutto Giovanni Di Salvo.
L’avvocato diventa vittima dell’usura
Ma l’avvocato, parente di Atanasio Ugo Leonforte figlio di Emanuele della famiglia mafiosa di Ficarazzi, arrivato ad un certo punto sarebbe rimasto pure lui vittima dell’organizzazione dei prestiti a usura.
Infatti, non solo aveva garantito per alcuni malcapitati che non restituivano il denaro, ma avrebbe avuto difficoltà a pagare anche lui quanto aveva ricevuto in prestito. Finendo per subire quindi minacce e intimidazioni. Una discesa agli inferi che gli ha fatto dire “La toga la posso prendere e bruciare”.
Se in questo terribile giro d’usura alcune vittime si ritrovavano a pagare interessi da capogiro, altre erano costrette a cedere alle famiglie mafiose l’attività d’impresa che esercitavano.
Ad altre ancora veniva proibito il libero commercio poiché intralciava gli affari degli “amici” dei boss vicini di strada. Per esempio, ad un commerciante di scarpe è stato vietato di esporre in vetrina calzature femminili di sandali e ballerine e un marchio di scarpe maschili.
Notazione amara del tenente colonello Pietro Sanicola della Giardia di Finanza. “Non si sono mai verificati casi di denunce da parte delle vittime, che in alcuni casi sono diventati i carnefici di altre vittime”, commenta.