L’operazione “Persefone” fotografa la lotta fra vecchi capi e nuove leve di Cosa Nostra
di Giovanni Burgio
“Qui a Bagheria comandiamo noi. Nella storia Palermo ha sempre fatto quello che diceva Bagheria. I palermitani si stessero a Palermo, e quando devono venire qui devono chiedere il permesso”. Non ha dubbi Massimiliano Ficano, il nuovo reggente di Cosa nostra a Bagheria che ha aiutato Bernardo Provenzano nella sua latitanza. “Io sono uno di quelli che ha fatto la storia” ribadisce intercettato.
Lunedì 13 settembre è finito in carcere assieme ad altre sette persone a conclusione dell’operazione “Persefone” dei carabinieri.
La lotta fra la mafia a Bagheria e a Palermo
E non è un caso che Ficano, una volta ritornato a Bagheria, abbia preso il posto di Onofrio Gino Catalano, nipote di Settimo Mineo che è il capo mandamento di Pagliarelli a Palermo e al vertice della Commissione provinciale ricostituitasi nel maggio del 2018.
Insomma, una lotta continua fra la mafia a Bagheria e Palermo, fra vecchia e nuova mafia, per la supremazia nel territorio. Che però, in questo caso specifico, non ha avuto conseguenze violente o traumatiche, visto che a Catalano, una volta tiratosi indietro al rientro di Ficano, gli è stato riconosciuto il potere di gestire tutto il traffico degli stupefacenti.
Ficano aveva le idee chiare su dove puntare le migliori energie criminali del gruppo di cui era a capo: droga e centri scommesse. Lasciando stare le estorsioni che, secondo il suo parere, sono sempre più pericolose per le denunce delle vittime.
Mafia a Bagheria: le estorsioni
E comunque “il pizzo” si deve sempre chiedere. Per avere un’idea della misura di questa odiosa tassa mafiosa bisogna ascoltare l’intercettazione in cui Ficano esige da un imprenditore del settore trasporti che si era aggiudicato un lavoro da settanta-ottanta mila euro “almeno diecimila euro”, cioè più del 10%. Un’enormità di denaro e ricchezza sottratti alla società e all’economia legale.
Ma non ci sono solo questi grossi affari in gioco. C’è anche la gestione quotidiana del territorio, come la disputa fra un bar e un panificio. Poiché quest’ultimo si permette di fare dolci, il bar vicino si sente insidiato negli affari. E dopo contrasti, discussioni, incontri, arriva il compromesso: il panificio non farà più dolci, in cambio però il bar non farà più pizzette!
La testa calda da uccidere
Quattro giorni dopo gli otto arresti, il 17 settembre, altre tre persone sono finite in carcere nell’ambito delle stesse indagini, ed è Fabio Tripoli il protagonista di quest’ultima vicenda.
Tripoli è una testa calda. Oltre a maltrattare il padre e la compagna, non ha paura dei boss e non si piega al loro volere. Si sente trascurato dal gruppo e viene scavalcato da Bartolomeo Antonino Scaduto. In pubblico, davanti a un chiosco, ubriaco, minaccia di picchiare Scaduto, di bruciare il negozio di Ficano e di sparare a Onofrio Gino Catalano.
Per chi comanda a Bagheria la misura è colma, e il giorno dopo, il 19 agosto, si organizza “la lezione” a Tripoli. In quattro si armano di cazzottiere e il risultato della spedizione lo sentiamo dagli stessi protagonisti: “quello gli ha aperto tutta la testa”, “il sangue a terra era a buttare”, “io ho iniziato a colpire, e ora non me le sento più le mani”.
Ciononostante Tripoli non cede, e non va all’incontro pacificatore voluto dal padre con i boss. L’affronto ormai è troppo grave, e la sentenza non può che essere definitiva: la morte.
Così il 13 settembre Carabinieri e Procura sono intervenuti repentinamente con gli arresti proprio per sventare il tentato omicidio.
In copertina, i “mostri” di villa Palagonia a Bagheria. Foto tratta da Wikipedia. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=6396600