di Gianluca Navarrini
Il centrodestra ha finalmente sciolto gli indugi: a Roma Enrico Michetti è il candidato sindaco.
Classe 1966, avvocato, giornalista pubblicista, docente universitario, intrattenitore radiofonico, legale dell’ANCI e già vicepresidente di una società del gruppo ACEA. Un curriculum ricco. Ma un buon giurista non è detto che sia anche un buon politico, né che abbia le idee, il carattere e le competenze gestionali che occorrono per tenere saldamente in mano le redini di una macchina complessa come quella dell’amministrazione di Roma Capitale.
La tessitura baritonale della sua voce è nota e apprezzata dagli ascoltatori di «Radio Radio». E basta ascoltare le sue prime dichiarazioni da candidato, nella video-intervista rilasciata l’altro ieri in strada, per rendersi conto che la cifra stilistica di Michetti è, se mi si passa la battuta, il “cerchiobottismo piacione”: lui non giudica e non censura nessuno e, soprattutto, non guarda al passato ma al futuro.
Enrico Michetti, tra passato, futuro e presente
Incidentalmente, mi pare opportuno osservare che, per coerenza, chi promette di guardare solo al futuro, dovrebbe totalmente dimenticarsi dei curricula, che sono – per l’appunto – l’immagine sintetica della formazione e delle esperienze maturate nel passato. Invece Enrico Michetti pare tenere molto al proprio curriculum: basta cercare in rete per trovarlo e per apprezzarne la redazione. Così poso sintetica da farlo sembrare, più che un curriculum, un’autobiografia!
Tra passato e futuro, il narcisismo di Michetti è, dunque, palpabile e presente. E lui, davanti alle telecamere, mostra il suo vero talento: dribblare le domande dei giornalisti con una cortina fumogena di vacuità e trionfalismo.
Dopo il retorico richiamo al dovere di restituire a Roma il ruolo di caput mundi, Michetti si esibisce in un inno alla pacificazione, ergendosi – non si sa a che titolo – a garante della civiltà del confronto tra concorrenti per la poltrona di sindaco e a tutore delle libertà costituzionali. I suoi concorrenti, per lui, non sono avversari, ma colleghi (anche se non guasta sottolineare che nella forma mentis di un avvocato i colleghi sono, per definizione, tutti avversari).
E alla rituale domanda su quale sarà il suo primo atto da sindaco, dà una risposta stupefacente: non ci sono priorità, ma c’è un – ignoto (forse anche a lui) – programma.
Ammette, tuttavia, l’esistenza di problemi – la sicurezza, l’igiene urbana, i trasporti – e annuncia che verranno affrontati con serietà, impegno e dedizione. Serietà, impegno e dedizione per far cosa, però, non è dato saperlo. Però Michetti ci tiene a sottolineare che opererà con la conciliazione e il rispetto di tutti. Sempre senza dire per fare cosa.
Molta retorica, poche idee
Insomma, in una manciata di minuti Michetti esibisce buone doti di comunicatore, ma una pochezza disarmante di contenuti: nessuna priorità individuata e nessun programma abbozzato.
Il trionfalismo fa la parte del leone: si decantano le meraviglie di Roma, si invoca il suo primato universale e si rievoca la Roma dei Cesari e dei Papi. Fumo negli occhi. Una malconcia quinta teatrale, una finzione dietro la quale nascondere la cruda verità: oggi l’Urbe non ha una condizione degna neppure di un capoluogo regionale. E occorre ripartire da qui, dalla ricostruzione dell’identità e dell’immagine della Capitale della Repubblica italiana. Senza velleitarismi e senza aspirazioni universalistiche, da capitale dell’universo.
La retorica della pacificazione, poi, sembra una manifestazione di reducismo fuori tempo massimo: il confronto dialettico, anche spigoloso, è sintomo di sano pluralismo e di vivacità intellettuale della società, non di guerra civile. E la tentazione unanimistica è sempre dietro l’angolo, benché sia la più invisibile e insidiosa nemica della libertà.
Infine, la dichiarata assenza di priorità suona preoccupante, perché rivela la siderale distanza che c’è tra il candidato sindaco e il resto della cittadinanza, che, invece, sente – ad esempio – la stringente urgenza dei problemi dello smaltimento dei rifiuti, della mobilità, della sicurezza dei quartieri periferici.
E anche il suo generico e fumoso richiamo al programma pone alcuni seri interrogativi. In primo luogo, in merito all’esistenza di questo programma. E poi anche al suo concepimento: Michetti ha già elaborato un programma? Quando? Come? E, soprattutto, con chi?
Molti quesiti
Il dubbio, alla fine, è che, non avendo un suo personale programma, Michetti guiderà l’amministrazione dando attuazione alle idee dei funzionari dei partiti che lo sostengono, con il serio rischio di diventarne ostaggio e strumento. Il suo compito finirebbe, così, per essere quello di mero esecutore dei disegni politici concepiti da altri, conciliando e rispettando tutti.
E questo – apparentemente distensivo – richiamo alla conciliazione e al rispetto di tutti come va interpretato? Lascia forse intendere che Michetti impronterà la sua gestione al “vivi e lascia vivere”? Sarà, dunque, adottata una certa tolleranza nei confronti di quei piccoli e grandi feudi che, come è noto, si insinuano parassitariamente all’interno dell’amministrazione e degli enti municipalizzati?
Inutile negare l’esistenza di questi centri di potere – politico, sindacale, economico – che strumentalizzano la pubblica amministrazione per perseguire i propri scopi, non sempre commendevoli e talvolta in aperto contrasto con l’esigenza di buon andamento dell’amministrazione stessa.
Centri di potere che sono stati già largamente beneficiati dalle aderenze e dalle disattenzioni di alcune giunte capitoline del passato e in particolare, come fin qui accertato dal tribunale e dalla corte d’appello di Roma, dalla giunta guidata da Gianni Alemanno. Il quale – sarà forse un caso? – era espressione delle stesse forze politiche che oggi sostengono Enrico Michetti.
In copertina, Enrico Michetti. Foto tratta dalla sua pagina Facebook (cut). Originale qui.