di Pasquale Hamel
Nel luglio del 1904 si svolgeva a Firenze il processo a Raffaele Palizzolo, detto “u cignu” (il cigno), deputato siciliano grande sostenitore di Francesco Crispi, accusato di essere il mandante del delitto Notarbartolo avvenuto il 1° febbraio 1893. La vittima, Emanuele Notarbartolo, fu l’aristocratico siciliano le cui battaglie per la moralizzazione avevano messo in crisi l’intreccio perverso fra mafia e politica che dominava la società siciliana.
Il processo a Firenze avvenne dopo la sentenza di annullamento, ad opera della Cassazione, della sentenza di Bologna che aveva condannato lo stesso Palizzolo, riconosciuto colpevole, a trent’anni di reclusione.
Il processo di Firenze per l’omicidio Notarbartolo
A Firenze il Palizzolo, secondo una liturgia consolidata per le vicende di mafia, veniva assolto dalla corte di assise con la formula “per insufficienza di prove”. Tutto ciò, dopo una campagna mediatica a favore del Palizzolo, alla cui testa si erano messi il Comitato pro Sicilia e Pro-Palizzolo nonché i quotidiani La Tribuna e L’Ora finanziati dai Florio.
A seguito dell’assenza o della ritrattazione di molti testimoni, Leopoldo Notarbartolo, figlio della vittima che si era battuto per rendere giustizia al padre, compendiava in un libro che portava il titolo “La città cannibale”, la sua disillusione per la battaglia perduta.
E sarebbe già grave quanto accadde a Firenze se non si fosse aggiunta al danno la beffa. E la beffa si compendiava nell’atteggiamento della gran parte della classe dirigente e dell’opinione pubblica siciliana.
Entrambe, infatti, riproponendo il solito becero sicilianismo vittimistico, vissero il caso Palizzolo come un ulteriore attacco alla Sicilia e alla società siciliana condotto dai “poteri forti” del nord.
Attraverso Palizzolo, veniva detto, si voleva colpire e infangare la Sicilia. Secondo loro Palizzolo sarebbe stato vittima di un disegno perverso teso a dimostrare che l’Isola fosse abitata dal malaffare e dalla mafia.
Così il deputato siciliano, gran maneggione ed esperto in quello che oggi si definisce “voto di scambio”, veniva proposto come vittima da santificare. Cancellando con un colpo di spugna le connivenze e gli intrallazzi di cui si era reso responsabile.
L’accoglienza a Palermo
Posta così, non possono, dunque, sorprendere le manifestazioni di giubilo alla notizia della sentenza di assoluzione. Né può sorprendere la formazione di un comitato di accoglienza per l’arrivo del presunto mandante trasformato in “vittima”. Un’accoglienza a Palermo alla cui testa si pose l’erede della fortuna dei Florio, cioè Ignazio Florio jr. Anche il demologo Giuseppe Pitré partecipò al comitato e, più per ingenuità che per convinzione, si fece strumentalizzare in quell’occasione.
E d’altra parte c’era ben poco da meravigliarsi. Visto che al processo di Bologna, interrogato dal pubblico ministero ad una domanda sulla esistenza della mafia, Florio junior avesse risposto, indignato, di non sapere cosa fosse. Finendo con l’affermare: «È incredibile come si calunnia la Sicilia! La maffia nelle elezioni! Mai! Mai!».
L’ex presidente Starrabba di Rudinì in una lettera al prefetto Codronchi, senza mezzi termini, aveva definito “una canaglia”. E tuttavia per il ritorno di Raffaele Palizzolo si organizzarono così manifestazioni popolari. Perfino alcuni pezzi della Chiesa locale ebbero la sfacciataggine di invitare il popolo a processioni di ringraziamento. Per riportare Palizzolo nella sua città Florio mise a disposizione una nave della sua flotta. Un ritorno trionfale per “una canaglia” che disgustò l’opinione pubblica nazionale e che suonò vergogna per la stessa Sicilia.
Non è un caso che il grande scienziato della politica, il siciliano Gaetano Mosca, sorpreso da questi festeggiamenti considerati inopportuni, sulle pagine del Corriere avesse manifestato la sua indignazione. Così si espresse Mosca: “l’on. Raffaele Palizzolo se non era un delinquente, era sicuramente un protettore di delinquenti e sospetto perfino di relazioni coi briganti”.
Immagini, citazioni e altri riferimenti
La vicenda del delitto Notarbartolo è al centro del romanzo Il cigno, dello scrittore Sebastiano Vassalli, Einaudi, Torino, 1993.
L’assassinio di Emanuele Notarbartolo è raccontato nella miniserie televisiva del 1980 Il delitto Notarbartolo, di Alberto Negrin, in cui il politico siciliano venne interpretato da Ivo Garrani.
Nel 1994 il Teatro Stabile di Catania ha messo in scena Il caso Notarbartolo di Filippo Arriva, con protagonista Ilaria Occhini, in scena al Teatro Verga. Lo spettacolo viene presentato lo stesso anno al Teatro Valle di Roma.
Luigi Sturzo mise in scena la vicenda dell’omicidio Notarbartolo con “La mafia (1900), dramma in cinque atti” reperibile nella biblioteca nell’Opera Omnia di Luigi Sturzo online.
Immagine in copertina, Francesco Lojacono: Veduta di Palermo (1875, quando Notarbartolo era sindaco di Palermo). Di Francesco Lojacono – Galleria d’Arte Moderna (Palermo), Foto: Opera propria, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=47167831.
Immagine nel testo. Emanuele Notarbartolo. Di Sconosciuto – Illustrazione Italiana, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=78800059