di Elena Beninati
Nella Giornata Mondiale della Memoria in onore delle vittime del genocidio in Ruanda (7 aprile), istituita dalle Nazioni Unite, la Francia per la prima volta sdogana archivi e documenti top secret offrendoli al pubblico ludibrio. Il monito alla memoria è una chiosa: non c’è etica che prescinda dalle conseguenze di un’azione.
Il mondo si è liberato dall’onnipotenza degli dei e ha sposato un aspetto pragmatico. Senza assumere princìpi assoluti, l’etica della responsabilità agisce tenendo bene a mente le conseguenze pratiche dell’agire: male maggiore o male minore?
Quella consapevolezza che fa capo alla dicotomia fra l’etica delle intenzioni e della responsabilità è già politica. L’etica politica non perde mai di vista le conseguenze del proprio operato, nemmeno nel parametro di giudizio del tempo.
Il lavoro e le conclusioni della Commissione Duclert sul genocidio del 1994 in Ruanda
Al termine di due anni di ricerche, i membri della Commissione Storica Duclert, voluta e istituita da Macron nel 2019 per indagare sulle responsabilità politiche, istituzionali e soprattutto morali del Governo Mitterand nel genocidio ruandese del 1994, hanno pubblicato un rapporto chiarificatore sul ruolo della Francia in Ruanda tra il 1990 e il 1994.
I membri della commissione di ricerca sugli archivi francesi relativi al Ruanda e al genocidio dei Tutsi, presieduta dallo storico Vincent Duclert, hanno scandagliato un’enorme mole di documenti che attestano, non solo responsabilità, ma anche un sostegno al regime dittatoriale dell’allora presidente Juvénal Habyarimana da lascito colonialista. Il rapporto non inganna sulla reale posizione dell’Eliseo riguardo gli avvenimenti politici sfociati nel genocidio dei Tutsi.
La Francia allineata con il regime ruandese sanciva un connubio alquanto razzista, sulla falsa riga di un colonialismo decadente, accentuando di fatto la crisi etnica in atto nel Ruanda del ‘90.
I Tutsi, scavalcati nella gestione del potere dagli Hutu già dalla rivoluzione del 1959, proprio nel 1990 fondano il Fronte patriottico ruandese, Rpf, E, grazie, all’aiuto della comunità Tutsi rifugiata in Uganda, attivano una guerra civile che si concluderà con la presa del potere nel 1994. La vendetta degli Hutu si scatena in 100 giorni di massacri in cui le Forze Armate Ruandesi, Far, insieme ad altri gruppi paramilitari, uccidono a colpi di machete un milione di Tutsi.
Si attendono scuse doverose
Il genocidio termina nel luglio 1994 con la vittoria del Fronte patriottico schierato contro le forze governative. Gli Hutu più legati agli apparati di potere e alle milizie sono in fuga, per scampare alla giustizia, verso i paesi di confine: Uganda, Burundi, Tanzania ed ex Zaire.
In quel frangente Medici senza frontiere (Msf) non esitò ad accusare la Francia di non aver impedito né denunciato i massacri. Riferendosi soprattutto all’Opération Turquoise condotta dai francesi sotto l’egida dell’Onu, e tuttora in corso, avviata nel giugno ‘94 con l’obiettivo di porre un freno ai massacri in atto nel Paese ma dimostratasi incapace di arginare le violenze.
Quindi, complice per inedia, senza reale volontà ma nemmeno capacità oppositiva, la Francia tessé le trame (a propria insaputa?) della preparazione di un genocidio da parte degli elementi più radicali del regime. A Kigali oggi il rapporto della commissione Duclert rappresenta un passo importante per far luce sul genocidio. I sopravvissuti e i profughi si aspettano le scuse del presidente Emmanuel Macron.
In questi giorni la Francia ricorda, commemora e in qualche modo non dimentica l’etica del passato agire. Questo dossier permetterà una riconciliazione tra la Francia di Macron e il Ruanda di Kagame? Basta forse al mondo l’eterna commemorazione per cancellare l’ingiustizia e il dolore arrecato? Forse no ma di sicuro è il meglio che ci si possa aspettare.
Anche per il futuro pacifico delle nuove generazioni che ci guardano con occhi di speranza.
In copertina bambini nel villaggio di Ruduha in Ruanda, luglio 2019. Photo by Stuart Isaac Harrier on Unsplash foto originale qui.