di Pasquale Hamel (*)
L’ambizioso sogno imperiale di “Napoleon Le Petit” – definizione che Victor Hugo appioppò all’ultimo Bonaparte che ebbe l’avventura di sedere sul trono di Francia – finisce nel 1870 a Sedan. Un piccolo comune delle Ardenne divenuto famoso per essere stato il luogo in cui si combatté la battaglia decisiva della guerra franco-prussiana.
Una sconfitta ignominiosa che non faceva giustizia dello sforzo generoso che le armate francesi avevano, nonostante tutto, espresso in quei mesi. Una sconfitta che il popolo di Parigi, dove intanto era stata proclamata la Repubblica, non accettò decidendo di resistere.
Ma resistere appariva pressoché impossibile, e il governo repubblicano non poté che prenderne atto quando, nel gennaio del 1871, decise di arrendersi.
La Comune di Parigi nel 1871 e lo spirito del 1789
Non era solo il tentativo estremo di resistenza, peraltro pagato con enormi sacrifici materiali, ad occupare le menti dei parigini. C’era anche, e soprattutto, la pretesa di ottenere quelle riforme sociali che avrebbero dovuto stare a fondamento del progetto repubblicano.
Lo spirito del 1789, nelle forme più radicali, percorse infatti le menti del popolo parigino e lo convinse a saltare il fosso liberandosi anche di quel regime borghese, di cui fu anima Adolphe Thiers che, proprio per sfuggire agli umori della folla, aveva spostato a Versailles la sede dell’Assemblea nazionale.
I “comunardi” che il 18 marzo 1871 piantarono la bandiera rossa sul tetto dell’Hotel de Ville, erano espressione delle plebi e della piccola borghesia. Proprio le classi sociali che avevano più sofferto gli effetti negativi della guerra.
In quei giorni agitati nasceva il mito della Comune di Parigi, considerato dagli storici il modello che aveva ispirato i rivoluzionari bolscevichi a cominciare da Lenin. Nello stesso giorno i rivoluzionari, che si erano impossessati della città, annunciarono le elezioni per dotare Parigi di un consiglio della Comune. E nei giorni immediatamente successivi si impegnarono ad attuare i primi eclatanti provvedimenti che qualificavano il nuovo assetto politico.
I tentativi di attuare riforme rivoluzionarie
In particolare, approvarono il ripristino del blocco delle scadenze commerciali e degli affitti, la liberazione dei detenuti politici, la soppressione dell’esercito regolare e l’affidamento della difesa alla Guardia Nazionale.
A questi primi provvedimenti ne seguirono immediatamente altri che qualificavano “La Comune” in senso decisamente innovatore. Si trattava dell’affermazione del principio di eguaglianza, non solo formale, di tutti i cittadini senza distinzione di sesso o di ceto.
Quindi, della separazione fra Chiesa e Stato con la relativa soppressione del finanziamento al culto e la eliminazione dell’ingerenza della Chiesa nei servizi pubblici nonché l’insegnamento obbligatorio, gratuito e informato a principi laici.
Gli insegnamenti di Marx e di Proudhon e di Saint-Simon aleggiavano fra i comunardi tanto da farsi sentire attraverso tentativi di ridimensionare se non, addirittura, espropriare la proprietà privata.
Non è un caso che si stabilisca di consegnare le officine e le fabbriche, abbandonate dai padroni fuggiti dalla città, agli operai che vi lavoravano costituiti in associazioni e cooperative. Un’operazione di collettivizzazione che coinvolgeva perfino i teatri, che in quegli anni erano un richiamo forte della gente.
Ma anche i simboli della guerra e dell’oppressione venivano presi di mira dai comunardi. Non meraviglia, dunque, che il 16 maggio la Colonna di place Vendôme, eretta a perenne memoria di Napoleone Bonaparte, venisse sradicata alla presenza di una folla festante fra cui il pittore Gustave Courbet.
Colui che l’aveva giudicata “un monumento privo di ogni valore artistico, creato in modo da perpetuare l’idea della guerra e della conquista che erano parte della dinastia imperiale, ma che devono essere avversate da una nazione repubblicana”.
La Comune e l’emancipazione delle donne
In questo tourbillon scandito da un rapido succedersi di eventi, si registrò anche una tanto straordinaria quanto inusuale partecipazione delle donne. Fino ad allora, infatti, nessuno sconvolgimento sociale aveva visto un così forte coinvolgimento del mondo femminile.
Ciò impose scelte trasgressive per la morale borghese, a cominciare dalla chiusura delle case di tolleranza che, proprio a Parigi, costituivano una componente non marginale del paesaggio urbano.
Personaggi come Louise Michel, costituiscono ancor oggi riferimenti forti delle rivendicazioni femministe.
La Comune fu tutto questo e tanto altro. Un’eruzione vulcanica che sconvolse il consolidato dominio borghese della società francese, un’eruzione che non riuscì tuttavia a raggiungere alcuni segmenti della stessa società necessari alla sua stabilizzazione e che rimase circoscritta alla capitale francese. La sua esistenza, brevissima si concluse il 21 maggio, soffocata con le armi dalle truppe del maresciallo Mac Mahon.
Restaurazione e ispirazione per successive rivoluzioni
Alla restaurazione seguì la cosiddetta “settimana di sangue” in cui la repressione borghese comportò un bilancio drammatico, in termini di perdite umane.
Le vittime infatti furono fra i 17.000 e i 30.000 morti, mentre un numero anche maggiore di comunardi venne imprigionato e molti di essi furono deportati nei possedimenti d’Oltremare francesi.
Di quel conato rivoluzionario ispirato a principi socialisti con forti tinte anarcoidi, è rimasta una memoria forte. Impasto di paure e speranze e, come abbiamo scritto, un modello che certamente ispirò la successiva rivoluzione russa avvenuta quasi mezzo secolo dopo.
(*) Già docente storia contemporanea università di Palermo e direttore del Museo di storia del Risorgimento
Immagine di copertina tratta da questo tweet di Gad Lerner in ricordo della Comune.
Nel testo, Photo by Big Dodzy on Unsplash (originale qui).