di Mila Spicola
Con la legge Casati, 1859, si rese obbligatoria la scuola elementare, almeno fino alla seconda, per tutti e tutte. Venne affidata l’attuazione ai Comuni, notoriamente scarsi nelle casse. Vennero reclutati uomini e donne, però alle donne venne data la metà da quasi tutti i Comuni.
Piano piano gli uomini diminuirono, perché tutto sommato era uno stipendio basso già il loro, e si estese la presenza femminile. Lavoro a basso costo, che le donne hanno sempre accettato, anche perché o così o niente. Confuso sempre di più con il lavoro di cura, che, notoriamente non si paga.
“La cura? È nella natura della donna, che voi paga’?”. Anche oggi l’insegnamento nella primaria, nei nidi, nell’infanzia, è questo. Il lavoro meno pagato del pubblico, l’insegnamento, ha una categoria pagata ancor meno, quella delle maestre e delle educatrici, meno dei colleghi degli ordini “superiori”, già il termine superiore la dice lunga. Il meno pagato. O così o niente.
Nelle regioni dove il lavoro abbonda, le insegnanti e gli insegnanti mancano, perché scelgono altro, ovviamente. E siamo quasi tutte donne, molte del Sud, quelle che vivono l’emigrazione nell’insegnamento, soprattutto le maestre, che al Nord mancano di più. Lavoro a basso costo, operaie emigrate, come i muratori che andavano a costruire le autostrade al Nord, mentre il Sud ancora oggi le strade non le ha, traduco, il tempo pieno e i nidi che dovrebbero dare scuola ai bambini del Sud e lavoro alle maestre del Sud, non ci sono.
Negli anni il “o così o niente”, dove il niente abbonda, è diventato sempre di più meglio così che niente. Inconsciamente, l’idea quella è: lavoro poco pagato, nessuno si ricorda più perché, ma è perché è femminile, le donne accettano. Non siamo genere che si batte per il salario, da sempre, parlare di soldi per una donna è sconveniente, “conta la passione, la vocazione, la predisposizione…” una fregatura, insomma.
Perché è una fregatura, sia chiaro. Questo infatti dequalifica sia le donne che una professione importantissima. “Maestrina”. È l’ordine della scuola con gli stipendi più bassi, in una categoria con stipendi già bassi, quando tutti sanno che trattasi di professione immensamente faticosa e usurante. Il 97% delle maestre è donna.
Il tema “vocazione” e “missione” per l’insegnamento è poi l’altro cappio che tutti portano avanti: è funzionale a pagare ancora meno e a “premiare” quelle due o tre che “veramente hanno la vocazione”, che “veramente lavorano”. Quando tutte lavorano. Ed è la base di partenza quella che umilia ruolo e professione. “Chi vuoi che ci vada a fare la maestra?”. Persino le colleghe delle scuole “superiori” sotto sotto le considerano con un po’ di puzzetta. Ammettiamolo.
Quando le maestre ahi voglia se se ne hanno di numeri per raccontargliela, soprattutto numeri didattici. L’ordine di scuola in cui l’Italia è tra le prime dieci nel mondo è solo la primaria. Comunque, il tema del salario e del riconoscimento professionale delle maestre è una questione molto contorta, che ha profonde argomentazioni di genere, che fa comodo allo Stato, di cui le donne hanno sempre avuto poca consapevolezza, ma che non qualifica né l’insegnamento, né, detta chiaramente, le donne.
Essere maestra è uno dei mestieri più difficili, complessi e usuranti che vi siano. Lo dicono i dati sul burnout, questione anche questa sottaciuta, messa sotto il tappeto, perché se ne ha terrore anche solo a nominarla. Lo ripeto. Le maestre, uso il plurale femminile, hanno fatto e fanno l’Italia. A loro è affidato quanto di più importante abbiamo l’educazione e la prima istruzione, la costruzione della nostra identità collettiva. Più ancora che negli altri ordini di studio, sono le fondamenta di questo Paese. Se inferiore si riferisce a fondamenta, beh, lo sono.
Dentro le scuole ne sono consapevoli del loro lavoro, e della sua importanza, si ammazzano di studio e di fatica, senza che nessuno lo veda o lo riconosca. Fuori non lo dicono quasi mai, anche perché non ci crede nessuno. Ma le vedi, eleganti, allegre, fattive, vigorose. Sfinite senza dirlo.
Meritano una qualificazione professionale, reputazionale, di selezione all’ingresso, di salario e, last but nont least, di genere, pari all’importanza che rivestono, tutte.
Alle maestre, ai maestri, a mio padre e a mia madre. Alle donne.
In copertina, foto tratta da Unsplash. Photo by Museums Victoria on Unsplash