di Gianluca Navarrini
Potere tecnologico, poteri dominanti e poteri serventi
Politica. Economia. Tecnologia. Sono questi, oggi, i tre volti del potere. Conosciamo o, meglio, ci illudiamo di conoscere bene il potere politico e quello economico. Sappiamo che sono poteri principalmente dominanti, perché hanno finalità proprie. Il potere tecnologico, invece, è un’incognita. Perché è ambiguo e sfuggente: può espandere le nostre forze e liberarci dalla schiavitù della fatica, ma può anche introdurre forme più o meno penetranti di condizionamento, rendendoci dipendenti da esso.
Il potere tecnologico nasce come un potere servente perché, apparentemente, è uno strumento senza finalità proprie. Ma, essendo in grado di creare strumenti e contenuti nuovi, induce anche a perseguire nuovi scopi. Per intenderci basterà pensare alle tecnologie oramai ultracentenarie dell’audiovisivo. Al loro apparire sembrarono niente più che bizzarre curiosità capaci di riprodurre immagini e suoni. Strumenti che invece produssero nuovi contenuti culturali e industriali: la cinematografia e la discografia. Contenuti e scopi nuovi scaturiti da tecnologie nuove.
Oggi il potere tecnologico sembra essersi incaricato, tra l’altro, di favorire il sorgere di una nuova umanità. Per rendersene conto, è sufficiente pensare alla possibile espansione dell’identità personale consentita da internet. On line ciascuno può modellare un’identità più ampia di quella che ha off line. Può addirittura creare un’identità completamente nuova, che – nella realtà del cyberspazio – non è meno reale di quella posseduta off line.
Libertà e potere tecnologico
Se l’aumento della libertà produce una dilatazione del fascio di poteri a nostra disposizione, all’aumentare del potere di qualcuno si ridurrà la libertà di qualcun altro.
All’origine della rivoluzione informatica c’era proprio il sogno di un aumento della libertà dei singoli a discapito dei grandi poteri politici ed economici. E il web – all’inizio degli anni Novanta – sembrava incarnare questo sogno libertario e individualista.
La libera diffusione della conoscenza, la creazione di contenuti individualizzati e la comunicazione “orizzontale” sarebbero stati i mezzi per modellare un’umanità nuova. Un’umanità meno condizionata dal potere politico e da quello economico, più consapevole e, dunque, più libera. La Primavera araba del 2011, sbocciata sui social network, aveva animato la speranza che questa nuova tecnologia di comunicazione, semplice e accessibile a tutti, fosse uno strumento di liberazione dalle autocrazie e di progressiva e generale democratizzazione dei popoli.
Ma l’enorme potenziale della tecnologia – anche di quella informatica – può essere moltiplicato in modo esponenziale e “addomesticato” dall’alleanza con il potere economico. Un’alleanza che ha prodotto quello che alcuni hanno denominato capitalismo di sorveglianza, alludendo ad un potere economico talmente forte e pervasivo da poter mettere in pericolo la democrazia liberale.
Da Cambridge Analytica all’assalto al Capitol: potenzialità distruttrici del potere tecnologico
Con lo scandalo di Cambridge Analytica del 2018 tutti hanno constatato come il capitalismo tecnologico possa condizionare migliaia di elettori.
L’assalto a Capitol Hill del gennaio 2021 è l’ultimo di una serie di episodi, su cui la riflessione è ancora tutta da svolgere, in cui i gestori dei social network hanno unilateralmente e repentinamente assunto la decisione di sospendere gli account di personalità politiche di primo piano, tra cui quella del Presidente degli USA.
La saldatura strategica tra potere tecnologico e potere economico sembra, dunque, aver trasformato il sogno libertario in un incubo, in cui le libertà individuali vengono sopraffatte dalla vigilanza automatizzata, che di noi scruta tutto, conosce tutto, riferisce tutto. Contro il potere di sorveglianza delle multinazionali di internet si sono levate ferocissime critiche. E si chiede l’intervento dello Stato – il suo diretto controllo – per scongiurare possibili abusi nella gestione privata della Rete e, in particolare, dei social network.
Controllo della tecnologia, della politica e delle persone
Pensare di rafforzare lo Stato per disarticolare l’unione tra potere economico e potere tecnologico significa, però, spingere quest’ultimo a sciogliere l’abbraccio con il capitalismo e ad allearsi con il potere politico. Se, infatti, quello tecnologico è un potere servente, esso deve necessariamente soggiacere alle finalità di un potere dominante. E se il dominio non è esercitato dall’economia, lo sarà dalla politica.
E occorre chiedersi se ciò sia davvero opportuno. Se, infatti, tutti i media fossero posti sotto il diretto controllo dello Stato, ciò consentirebbe il controllo centralizzato dell’opinione pubblica e, per tal via il condizionamento dei cittadini da parte del potere politico.
In più, il controllo che si invoca sui social network da parte del potere politico potrebbe indurre quest’ultimo a trasformare la vigilanza sui social network in sorveglianza sui cittadini, attraverso un’alleanza con il potere tecnologico. In altri termini: attraverso la tecnologia il potere politico – che in democrazia dovrebbe essere esercitato sotto il controllo dei cittadini – diverrebbe esso stesso l’occulto e pervasivo controllore dei cittadini.
Capitalismo della sorveglianza, libertà e democrazia
Dinanzi alla distopia dell’alleanza tra potere politico e potere tecnologico, occorre evidenziare che il capitalismo della sorveglianza appare come un male minore. Quanto meno perché il controllo della Rete esercitato dalle imprese private non limita in alcun modo la libertà del fare, ma, al più, condiziona la libertà del volere: suggerisce e indirizza verso alcune scelte e condiziona le opinioni. Lo fa in modo molto più efficace di quanto in passato non facessero la stampa e la televisione. Ma lo fa senza che vi sia un controllo pianificato e centralizzato.
Se si pensa di combattere il capitalismo di sorveglianza resuscitando il Leviatano, enormemente potenziato dall’alleanza con il potere tecnologico, meglio lasciare le cose come stanno. Un potere politico alleato con il potere tecnologico si troverà nelle condizioni ideali per esercitare forme di opprimente controllo e di repressione del dissenso.
Per l’esercizio delle libertà politiche del cittadino, infatti, non vi è nulla di più prezioso della libera circolazione delle idee. Ma quella stessa libertà di circolazione delle idee è una costante minaccia per la perpetuazione del potere della classe politica dominante. Attribuire al potere politico il controllo della Rete – del mezzo, cioè, sul quale oggi circolano le idee – significherebbe inaugurare la più penetrante forma di censura della storia occidentale.
Insomma, la distopia orwelliana del Grande Fratello, più che nelle grandi imprese che dominano la Rete, potrebbe trovare il suo migliore interprete proprio in questo novello Leviatano tecnologico: lo Stato di sorveglianza.
I possibili rimedi contro il capitalismo di sorveglianza
Benché il capitalismo di sorveglianza non sia preoccupante come lo Stato di sorveglianza, ciò non significa che non sia da arginare. Anche perché – tanto per limitarci all’impianto costituzionale dei Paesi dell’Europa occidentale – è un principio comunemente accettato che l’iniziativa economica privata possa svolgersi liberamente, con il solo limite del rispetto della sicurezza, della libertà e della dignità degli individui. La stessa Carta dei diritti fondamentali dell’UE contempla tali principi.
Il controllo statale sarebbe reso possibile solo dall’apposizione di filtri sui server territoriali di accesso alla Rete, con conseguente censura di tutto ciò che il potere politico intende interdire ai residenti. Cosa che già succede in paesi a regime liberticida, dittature o pseudo-dittature.
Nei paesi occidentali, in considerazione dell’aterritorialità di internet e della natura globale dei gestori dei social network, mi pare lecito dubitare che lo strumento più adatto a imporre limiti al potere di sorveglianza sia la legge dello Stato.
Credo, invece, che, almeno nell’ambito dell’UE, possa essere utile la creazione di un organismo sovranazionale indipendente sia dal potere politico, sia da quello economico. Con la possibilità di imporre la redazione di un codice di autodisciplina tra tutti i colossi del settore e di vigilare sul suo aggiornamento e sulla sua applicazione. (Ciò in effetti succede negli Stati Uniti dal 1996, qui i riferimenti, NdR).
I benefici di un codice sul potere tecnologico
Questo codice varrebbe come soft law, fornendo alle giurisdizioni nazionali criteri di giudizio cui attenersi nel valutare ed eventualmente sanzionare gli abusi degli operatori.
In tal modo il controllo della Rete sarebbe sottratto all’ingerenza diretta del potere politico per essere rimesso all’autonomia regolamentare degli operatori e, successivamente, al controllo giurisdizionale e non politico-amministrativo dello Stato.
Forse non sarà il migliore dei mondi possibili, ma per il cittadino sarà sicuramente meglio che restare schiacciato tra il capitalismo di sorveglianza e lo Stato di sorveglianza.
In copertina Photo by Chelsey Faucher on Unsplash (particolare)