di Pasquale Hamel
Il Novecento è stato il secolo che, grazie alle scoperte scientifiche e alle relative applicazioni tecniche, ha dato una fantastica accelerazione al progresso umano. Eppure è stato anche il secolo delle grandi tragedie, di orrori tali da seppellire ogni ottimismo sull’idea di un’innata bontà umana.
La Shoah, lo sterminio del popolo ebraico in Europa da parte del regime nazionalsocialista, è la più emblematica di queste tragedie. Ma, per la portata storica, emotiva e culturale, che ha tratti assolutamente epocali, si configura per la sua unicità. Essa è infatti una ferita profonda e inguaribile nel cuore stesso dell’identità europea.
Nessuno prima di allora avrebbe potuto immaginare che, nel cuore dell’“Europa civile” a metà del XX secolo, potesse accadere una tragedia simile.
E cioè che milioni di uomini, sol perché considerati dai tratti specifici della cultura d’origine, potessero essere portati al macello fra immani sofferenze.
Ma c’è di più. La peggiore delle condanne non fu la morte ma l’annientamento, programmatico e sistematico, di un intero popolo. Fu l’umiliazione, la perdita dei diritti della dignità umana attraverso leggi immonde. E tutto ciò nell’indifferenza di quanti, intellettuali in primo luogo, fino a pochi anni prima vivevano, lavoravano, condividevano gioie e dolori con le stesse persone che poi hanno condannato col loro silenzio.
Milioni di tedeschi, e non solo loro visto che tale atteggiamento fu proprio di altri popoli europei italiani compresi, distolsero lo sguardo davanti agli incendi delle sinagoghe, al boicottaggio dei negozi di ebrei e alle leggi che una dopo l’altra rendevano impossibile la vita degli ebrei all’interno della società in cui fino ad allora avevano vissuto.
Proprio questa indifferenza, esemplificata nei versi del pastore Niemoller, erroneamente attribuiti a Brecht, costituisce il più rilevante scandalo di quella orrenda vicenda.
Per questo motivo oggi abbiamo il dovere della memoria, il dovere di fare memoria, affinché drammi simili non abbiano a ripetersi. L’antisemitismo è, infatti, ancora vivo e come un cancro devastante s’insinua anche nei corpi sani.
“Quel che è accaduto non può essere cancellato, ma si può impedire che accada di nuovo” questo è l’ammonimento che ci ha lasciato Anna Frank – una delle vittime più tragicamente note di quella “irrazionale” “follia” – che oggi, come domani, come sempre, dobbiamo far nostro.
In copertina: ebrei ungheresi all’arrivo del campo di sterminio di Auschwitz (1944) e sottoposti alla selezione per la morte immediata nelle camere a gas oppure il lavoro da schiavi. Foto tratta da Wikipedia.
By Anonymous photographer from the Auschwitz Erkennungsdienst. Several sources believe the photographer to have been SS officers Ernst Hoffmann or Bernhard Walter, who ran the Erkennungsdienst. – The source of this version is The Daily Beast. Also see Auschwitz Album, Yad Vashem., Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=82421763.