di Gabriele Bonafede
Con il 2021 il processo di smembramento del Regno Unito causato dalla Brexit, e in qualche modo accelerato dalla pandemia di Covid-19, entra in una nuova fase. Questa nuova fase è stata ben descritta in almeno due articoli di grandi giornali a fine 2020, uno del The Guardian (qui) e uno della CNN (qui) che pongono il tema dello smembramento fin dal titolo.
Gli accordi siglati in extremis negli ultimi giorni del 2020 stabiliscono infatti che l’Irlanda del Nord e Gibilterra rimangano nello spazio economico europeo, e persino in quello di “Schengen”. Ciò significa che già adesso la frontiera effettiva tra UE e Regno Unito passa all’interno del Regno Unito. Escludendo dunque questi due territori dalla amministrazione britannica per la totalità, o la quasi totalità, del passaggio di persone e merci.
Dogane e smembramento: gli effetti sull’Irlanda del Nord
L’Irlanda del Nord, uno dei quattro paesi nominalmente membri del Regno Unito, diventa di fatto un paese che fa parte dell’Unione Europea in tutto tranne che nel nome e nella rappresentanza al Parlamento Europeo. Per intenderci, i nordirlandesi possono liberamente entrare e uscire dall’Unione Europea, così come le loro merci e i loro servizi. Invece, ciò non è più possibile al resto dei britannici che devono dimostrare di essere residenti in Irlanda del Nord per avere libero accesso all’UE senza visto.
Ovviamente, l’economia dell’Irlanda del Nord se ne gioverà ed è facile prevedere che chi potrà permetterselo (individualmente e come impresa) si trasferirà dal resto del Regno Unito in Irlanda del Nord per avere questi vantaggi. I controlli anche per le merci che dall’Irlanda del Nord vanno nel resto del Regno Unito non fanno che aggravare la situazione.
L’appartenenza dell’Irlanda del Nord al blocco doganale dell’UE rafforza l’ipotesi di riunirla in un futuro non lontano con la Repubblica d’Irlanda, se non altro perché le due economie si continuano a integrare, rafforzandosi a vicenda, mentre i legami e gli interessi economici tra irlandesi del Nord e il resto del Regno Unito si indeboliranno inevitabilmente, dovendo passare per la nuova burocrazia delle dogane causate dalla Brexit. Tutto ciò è aggravato dal mancato accordo tra Londra e Bruxelles nello strategico settore dei servizi che rappresenta il settore preminente delle economie sviluppate.
Rischio sembramento con l’indipendenza della Scozia
A maggio del 2021 sono previste le elezioni politiche in Scozia: uno dei paesi membri del Regno Unito che ha votato, come d’altronde Irlanda del Nord e Gibilterra, nettamente contro la Brexit. Durante il periodo di transizione, e segnatamente negli ultimi mesi, i membri scozzesi del Parlamento del Regno Unito hanno più volte tentato di far ragionare i governi conservatori sulla necessità di far votare nuovamente riguardo alla Brexit o comunque tenere conto della Scozia, delle ragioni dei milioni di elettori “remain” e della necessità di arrivare a un accordo il più aperto possibile con l’UE. Ma le loro indicazioni sono state spesso oggetto di dileggio da parte del governo e segnatamente da parte di Johnson. L’accordo c’è, ma il danno della Brexit rimane ed è gigantesco.
Oggi, a quattro mesi dal voto scozzese di maggio, l’SNP, il partito nazionalista scozzese, pone la questione di un altro referendum da ripetere: l’indipendenza della Scozia. Come era facile prevedere, i sondaggi mostrano una crescita decisiva dell’SNP e per l’indipendenza scozzese.
Oltre all’evidente disastro politico, istituzionale, economico e sociale portato dalla Brexit prima ancora di essere attuata, la tendenza dei sondaggi a favore dell’indipendenza scozzese è favorita dalla differenza evidente tra Scozia e Inghilterra nel contrastare la pandemia. Da un lato, la premier scozzese Nicola Sturgeon ha operato in modo tale da aumentare il consenso degli scozzesi nei sui confronti. Dall’altro lato, Boris Johnson è stato un disastro.
Gli ultimi sondaggi mostrano il “Sì” all’indipendenza intorno al 52%, il “No” intorno al 38% e un restante 10% di indecisi. Anche se il “No” dovesse recuperare tutti gli indecisi, vincerebbe comunque il “Sì” con la conseguente proclamazione dell’indipendenza scozzese.
I conservatori accelerano lo smembramento con discorsi grotteschi e surreali
Già da quest’anno la Scozia potrebbe dunque uscire dal Regno Unito e procedere alla richiesta di ammissione all’Unione Europea. Al momento non appaiono all’orizzonte alternative all’indipendenza della Scozia se i sondaggi saranno confermati in un voto referendario.
Sarebbe pure peggio se il governo di Boris Johnson, sempre che sia ancora in carica a maggio, si opponga allo svolgimento di un referendum per l’indipendenza della Scozia. Questa eventualità sprofonderebbe il Regno Unito in una crisi politica e internazionale ben peggiore della Brexit e della stessa pandemia e di tutto ciò che si è visto finora.
Anche perché, la maggioranza del partito conservatore, quello del premier Johnson, preferisce rischiare lo smembramento del Regno Unito pur di attuare la Brexit. Lo rilevava un sondaggio (qui) di youtrend nel giugno del 2019 e oggi la situazione non sembra essere cambiata, anzi. Dalle dichiarazioni dei leader dei conservatori si evince la volontà di un muro contro muro nei confronti della Scozia.
Di fronte alla crisi dei pescatori scozzesi che non possono più esportare e sono rovinati, uno dei maggiori esponenti del partito di Johnson è arrivato al grottesco. Ad esempio, Jacob-Rees Mogg ha dichiarato in parlamento che “Il pesce, essendo britannico, è più contento” (qui il video), suscitando amara ilarità (qui il nostro commento).
Brexit e crisi economica
Non è finita qui. Gli effetti negativi della Brexit sul Regno Unito sono sotto gli occhi di tutti anche dal punto di vista economico: crollo della Sterlina, carenza di immigrati e dunque di forza lavoro (soprattutto negli ospedali), esodo di grandi imprese, difficoltà a mantenere la leadership nel settore finanziario, disoccupazione.
Ma soprattutto, le nuove dogane con i conseguenti controlli provocano disastri. Anche se senza tariffe, le dogane impongono controlli e burocrazia che rallentano il commercio rovinando l’economia. Il caso dell’industria del pesce non è che il primo e più evidente. Ma è l’intera economia del Regno Unito a subire un colpo epocale, come ampiamente previsto.
Tutto ciò mentre l’epidemia di Covid si aggrava di giorno in giorno con una tendenza alla crescita esponenziale. Gli effetti deleteri della Brexit sull’economia e gli assetti sociali del Regno Unito sono aggravati (e aggravano ulteriormente) la crisi derivante dalla pandemia di Covid: un circolo vizioso che è appena iniziato.
Brexit e smembramento: da scenario a realtà
In questi primi mesi del 2021 il Regno Unito dovrà affrontare la doppia tempesta di una recrudescenza dell’epidemia e la vera devastazione economica causata dalla Brexit.
Ciò non aiuterà il dialogo, soprattutto con un governo di Londra che cerca sistematicamente lo scontro e capri espiatori esterni, e persino l'”opinione” dei pesci, per giustificare la propria incapacità. Aggravando ulteriormente la crisi istituzionale che porta verso l’accelerazione del processo di smembramento.
Infine, il Galles, che pure ha votato a favore della Brexit nel 2016, potrebbe in futuro porre la questione dell’indipendenza. Specialmente a indipendenza della Scozia acquisita. Anche qui l’atteggiamento attuale del governo di Boris Johnson non fa altro che peggiorare le cose trattando i rappresentanti gallesi in modo inopportuno.
Se fino a metà del 2019 lo smembramento del Regno Unito era solo uno scenario, oggi è un rischio reale, se non un processo in atto. Per giunta divenuto difficilmente reversibile dopo le elezioni nazionali del dicembre 2019. La pandemia non fa che accelerare il tutto.
In copertina, Forth Bridge sul Firth of Forth in Scozia. Photo by Elizabeth Jamieson on Unsplash