di Franco Lo Piparo
«Il mondo si è contratto sotto i nostri occhi fino ad apparire veramente (…) una piccola aiuola: e quando in qualche parte di esso scoppia un conflitto, ogni popolo è ormai costretto ad accorgersi che la guerra è lì, alle sue porte. La casa è così angusta che non è più possibile accendere il fuoco in una stanza senza che tutta la casa s’incendi. Questa terribile vicinanza che ormai coinvolge tutto il mondo in un solo destino di salvezza o di distruzione, è sentita da tutti, anche da coloro che osteggiano o irridono il federalismo: i quali ben sanno che, se il genere umano non vorrà prima perire per suicidio (l’arma è già carica), la meta ultima non potrà essere che lo stato mondiale».
Così scriveva Piero Calamandrei nel gennaio 1949 nella Presentazione ai lettori italiani del “Disegno preliminare di Costituzione mondiale” pubblicato due anni prima negli Stati Uniti dal siciliano Giuseppe Borgese in collaborazione con altri intellettuali americani. L’edizione americana ebbe la Prefazione di Thomas Mann.
Da allora sono passati più di settant’anni. Il mondo si è ancor di più rimpicciolito. Quello che poteva sembrare un punto di vista, un po’ utopico, di grandi intellettuali è diventato la quotidianità vissuta di un qualsiasi contemporaneo cittadino del mondo che ha uno smartphone in tasca. In linea di principio e con molta facilità ciascun cittadino del mondo è ormai collegabile con un qualsiasi altro cittadino del mondo. Il mondo in cui viviamo è, per usare la parola di Calamandrei, una piccolissima «aiuola».
Cosa comporta in termini istituzionali il rimpicciolimento del mondo? Che ne è degli Stati nazionali? È possibile affrontare la novità sconvolgente della nostra epoca alzando muri e chiudendo porti? Sarebbe come se nell’Inghilterra del Settecento fosse stato possibile bloccare l’incipiente rivoluzione industriale distruggendo i telai meccanici. Impossibile.
Il lavoro pioneristico e lungimirante di Borgese ci dà diversi suggerimenti per affrontare il non facile problema. Se ne è parlato molto negli ultimi mesi, e in particolare ho partecipato al dibattito all’Università di Palermo lo scorso anno, con Sabino Cassese, giudice emerito della Corte costituzionale oltre che saggista e editorialista del Corriere della Sera, e Guido Corso, professore emerito di Roma Tre.
Come contributo che diedi alla discussione di allora, e che vale anche adesso, faccio una veloce osservazione. Uno Stato mondiale non riconosciuto di fatto già esiste. Un esempio fra i tanti. Quando usiamo WhatsApp o Facebook o altro ancora non siamo in territorio nazionale. Quello che vi scriviamo e pubblichiamo non è sempre regolato dallo Stato a cui apparteniamo ma da algoritmi controllati da luoghi remotissimi e inaccessibili alle autorità statali nazionali.
Ci avevate mai pensato? L’unico modo per gli Stati nazionali di riappropriarsi del loro potere giurisdizionale è diventare parti di quella che Borgese chiamava Repubblica Federale del Mondo. Utopia? Forse. Ci sono alternative migliori?
In copertina, Piero Calamandrei. Foto tratta da Wikipedia (particolare). Di http://pasquinando.files.wordpress.com/2010/12/piero-calamandrei.jpg, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=20728773