Oggi il cinema è ben diverso nel rappresentare la donna. La serie TV The Handmaid’s Tale ripropone il tema della sottomissione femminile in maniera distopica
di Giovanni Burgio
È da qualche tempo che vedo vecchi film in televisione. Film in bianco e nero, degli anni quaranta, cinquanta, soprattutto americani, ma anche italiani, inglesi, ecc. Ebbene, in tutti questi film western, in costume, musical, comici, ma anche commedie, quello che è costante e che mi ha colpito maggiormente è come viene trattata, considerata e raffigurata la figura femminile.
Schiaffi, spintoni, maltrattamenti, sono pesanti e continui. Moglie, figlia, amante, devono subire e basta. Guai se accennano con un semplice sguardo ad una reazione o rivolta; giù altri rimproveri e botte. E quello che è impressionante è la naturalezza con cui gli attori uomini, divertiti e contenti, compiono tutto questo. In loro non c’è ombra di pietà o di ravvedimento. Non c’è il minimo dubbio, infatti, che la donna debba essere destinataria di tali trattamenti.
Nelle pellicole di quegli anni la donna è muta, silenziosa. Spesso le viene ordinato di ritirarsi in casa e chiudersi dentro. L’uomo provvederà a fronteggiare i nemici, gli assalitori, e solo lui deciderà sul da farsi. Forza, armi e combattimenti spettano solo a lui. La donna è debole e l’uomo è forte. La donna deve obbedire e l’uomo deve comandare.
Ma anche battute e sottointesi non sono meno gravi e pesanti. Con tono leggero, scherzoso, e perfino allegro, i dialoghi esprimono lo scontato ed evidente pregiudizio che il solo compito e destino della donna è fare figli e occuparsi di casa e famiglia. Se la protagonista femminile vuole lavorare, studiare, o impegnarsi nella società, la reazione è il sorrisino e l’incredulità. L’unico e incontrastato protagonista deve essere l’uomo nelle sue molteplici funzioni sociali, politiche ed economiche.
Nel cinema di quel periodo la donna rappresenta solo la materialità, la fisicità, e quindi non può che continuamente essere esaltato il suo aspetto estetico. Curata, addobbata, truccata, deve piacere all’uomo. Ammirata, omaggiata e apprezzata deve soddisfare le sue aspettative. Insomma, l’unico campo in cui la donna può primeggiare è quello sessuale.
Da punto di vista antropologico, e direi psicologico, il protagonista maschile è spaesato e sbigottito di fronte al mondo femminile. Non se ne sa spiegare gesti e reazioni, modi di pensare e di essere. È come se si trovasse di fronte ad un enigma inspiegabile, incomprensibile, rispetto al quale è inutile indagare ed è meglio lasciar perdere. Un pianeta diverso abitato da strani esseri. La sola cosa che riesce a dire è che le donne sono troppo emotive e che “sanno solo piangere”.
Si badi bene che in questi vecchi film lo stesso tipo di trattamento è riservato agli indiani d’America e ai neri. Tutti esseri, come la donna, considerati inferiori e privi di una soggettività da rispettare. È il maschio, il bianco, quello che domina e che è superiore. Nessuno può mettere in discussione il suo potere e il suo modo di pensare. Tutti gli altri esseri viventi sono a suo servizio e in sua funzione.
Questa impostazione culturale e sociologica arriva incredibilmente fino alle produzioni degli anni settanta, e ormai, fortunatamente, sembra passata un’intera era geologica da quando queste pellicole sono state pensate e girate. La differenza è enorme e abissale. Sarebbe impensabile nei film di oggi vedere donne che subiscono simili violenze e umiliazioni. Non si permetterebbero tali rappresentazioni. Insomma, adesso c’è un’altra società, un altro modo di pensare, un altro mondo.
C’è una serie televisiva statunitense del 2017 che sembra far ripiombare in un incubo la condizione femminile. “Le Ancelle” (The Handmaid’s Tale) narra di una società futura che per i disastri ambientali, la scarsa fertilità, l’alta mortalità infantile, destina alle “Ancelle” il ruolo di procreatrici. Ma non lo fa proteggendo, tutelando, rispettando questa fondamentale funzione che la natura ha assegnato alle donne; al contrario, schiavizza, sevizia e mette a totale disposizione del maschio, del “padrone”, la figura femminile. Infatti, una volta al mese, quando è fertile, l’Ancella deve subire lo stupro alla presenza e tra le gambe della moglie infertile del “padrone”. Quest’ultima, infine, prenderà con sé il bambino partorito, sottraendo per sempre all’Ancella l’essere che ha tenuto in seno per nove mesi.
Ecco, non vorremmo che dopo i giganteschi passi in avanti fatti in questi ultimi anni, alla donna fosse assegnata la sua antica e primitiva funzione, negandole ogni soggettività sentimentale, giuridica, sociale. Quello che purtroppo avveniva qualche decennio fa e veniva rappresentato nei vecchi film del passato.