di Davide Mannelli
A pensarci bene questa acciaccata Italia, vecchio stivale stravolto da Covid, rabbia sociale e liti continue, non era più quella di Gigi Proiettti.
La sua era un’anima antica, antichissima, popolare e solare, e da questo punto di vista la sua dipartita potrebbe essere tradotta come una sua immaginaria battuta: “Scusate, me sento un po’ in imbarazzo in mezzo a ‘sta caciara: me faccio da parte”.
Amarezza, segno del destino. Era già capitato a Lucio Dalla, stroncato da un infarto proprio in prossimità della sua festa, il 4 marzo. Adesso Gigi. Probabilmente è un destino beffardo riservato ai più grandi.
E’ difficile spiegare, ad un ragazzo di oggi, chi è stato Luigi Proietti, classe 1940.
Cresciuto nella Roma del boom, delle sperimentazioni, delle cantine teatrali, forse l’unico, vero erede di Ettore Petrolini e di Vittorio Gassman, e non è un caso se l’etichetta di “mattatore” sia passata dall’uno all’altro.
Un gigante del palcoscenico, con quel A me gli occhi, please che stregò la sua gente nel 1976. Capace di trasmettere empatia con una risata, con gli occhi che sbattevano guizzanti da una parte all’altra, con quel naso “importante”, con tutto il fisico (un po’ alla Gaber) che sembrava “offrire” alla sua platea.
Differentemente dal suo maestro Vittorio, non conobbe mai, o quasi, gli onori del grande schermo. “Proietti non buca al cinema”, dicevano i produttori. Lo stesso Febbre da cavallo, da anni un cult per diverse generazioni, fece fatica ad imporsi alla sua uscita, a metà degli anni ’70. Trovando un lento risveglio con le ripetizioni televisive, fino ad ergersi a pellicola-memoria per numero di battute, situazioni, caratteristi presenti. E Mandrake/Proietti era ormai stampato sulla memoria di tutti.
Accantonato dal cinema, trovò un’ulteriore valvola di sfogo in tv, oltre che dietro l’inseparabile sipario rosso, vero ossigeno e linfa vitale di tutta la sua vita: il successo nazional-popolare con Il Maresciallo Rocca, ed altre apparizioni.
E poi doppiatore, raccontatore di storie (non semplice barzellettiere), conduttore, un talento che sfociava straripante in più direzioni.
Ma la “cifra” che rimane di Proietti è quella di essere stato un animale unico delle scene, probabilmente irripetibile, anacronisticamente lontano (per sua fortuna) da questa Italia così lontana dal suo spirito, cinica, arrabbiata, maligna.
Gigi, ti sei risparmiato l’agonia di un paese che non era più il tuo.
Ci piace ricordarlo in un video cult, che ha spopolato anche su yotube, con milioni di visualizzazioni, in “La signora delle camelie”. E ci ha fatto ridere, e farà ancora ridere, nunc et semper. Con le lacrime. Che ci confortino, nella tristezza di averci lasciato.