“Favolacce”, l’ottimo film dei fratelli D’Innocenzo
di Giovanni Burgio
Rieccoci con i film italiani, gli ottimi nostri film. “Favolacce”, il secondo lungometraggio dei fratelli D’Innocenzo, è una splendida pellicola che conferma come alcuni autentici poeti della nostra Penisola continuano a sorprendere gli appassionati di cinema.
Questo film è duro, un vero pugno allo stomaco. La splendida canzone che conclude la pellicola e che continuamente ripete “Bisogna morire, bisogna morire” ne costituisce l’esatta sintesi. Perché di morte, di amarezze, di triste realtà, infatti, si racconta nelle “Favolacce”. (il titolo del brano musicale è “Passacaglia della vita”, anonimo del 1657 (qui il link del pezzo musicale).
Favolacce: il mondo di oggi
Ma attenzione: non si tratta di violenze, di sangue che scorre, di crudeltà freddamente perpetrate. Tutt’altro. Ci troviamo, invece, in un quartiere romano, Spinaceto, per nulla abbandonato, per niente sottosviluppato, dove però si conduce una difficile e complicata vita quotidiana che ha tutte le caratteristiche del mondo di oggi: precarietà del lavoro, bisogno di esibire lusso e denaro, ossessione del sesso. Insomma, all’interno delle graziose villette a schiera si rivela l’estrema fragilità dell’animo umano che non regge vizi e modelli dominanti che trasformano uomini e donne in esseri competitivi, spietati, feroci.
Ma ripetiamo: non si vedono maltrattamenti e malvagità. Anzi: ci sono cene con amici, apparenti buoni rapporti, cortesi inviti tra vicini, gentili ringraziamenti reciproci. Ma sotto la patina delle buone maniere e dei facili sorrisi s’intesse la tela dell’invidia e del rancore, dell’impotenza e della violenza.
Gli adulti e i bambini
Tutto questo avviene “Nel mondo di sopra”, tra i grandi, tra gli adulti, tra quarantenni che si affannano a inseguire sogni e progetti irraggiungibili. “Sotto”, tra i piccoli, tra i bambini, discorsi e atteggiamenti “dei grandi” vengono ascoltati e assorbiti in silenzio, senza tante parole o reazioni. Ma la consapevolezza dei piccoli è enorme, e quello che i grandi insegnano viene trasformato in progetti chiari e azioni eclatanti.
E questo è, invero, il tema centrale di tutto il film: il mondo dei grandi, degli adulti, ha ripercussioni immediate e conseguenziali nella vita dei bambini. Non si può pensare che “i piccoli”, i bambini, sono dei ciechi che non vedono e dei sordi che non ascoltano; al contrario, i piccoli uomini e le piccole donne osservano e comprendono alla perfezione. E anzi proprio loro sono i migliori esecutori delle idee e dei valori degli adulti.
Il film in sostanza rompe tutte le falsità e le ipocrisie che invadono lo spazio e i rapporti pubblici. In questo senso, emblematica e centrale è la figura del professore di scuola. Nell’apparente quiete scolastica cova il malessere e il disagio; e allora perché fare buon viso a cattivo gioco? Perché essere buoni a tutti i costi? Non vale, invece, la pena di far scoppiare tutto, di portare alle estreme conseguenze quello che si sopporta ogni momento? Ed è qui che il film raggiunge il tragico epilogo, e sta qui la ragione del perché lo abbiamo definito duro e amaro, quasi senza possibilità di speranza.
La storia e i protagonisti di “Favolacce”
Una vera e propria trama non c’è. Ci sono, invece, un’infinità di fatti ed episodi, tanti ritratti umani, splendidi paesaggi naturali. Alla fine, l’insieme di questi diversi punti di osservazione converge verso un unico quadro di unione: il triste affresco della realtà di oggi.
I cinque-sei bambini protagonisti, tutti tra gli otto e i dodici anni, interpretano con sorprendente naturalezza e spontaneità i loro difficili ruoli di “piccoli-grandi”, di “ciechi-attenti osservatori”, di “sordi-acuti ascoltatori”. I volti e le espressioni ritratti nei fotogrammi che scorrono sono davvero straordinari.
Bravissima anche Ileana D’Ambra, la ragazza che veste i panni di un’adolescente cresciuta troppo in fretta. Elio Germano, poi, raggiunge senz’altro una delle sue migliori interpretazioni.
Il dialetto e la colonna sonora
In questo difficile film da vedere e digerire (senz’altro sconsigliato a chi vuole passare momenti di spensieratezza) una funzione essenziale svolgono il dialetto e la colonna sonora. Il primo, uno strettissimo romanesco spesso incomprensibile, fa la cifra stilistica dei due registi che anche nel loro primo film del 2018, “La terra dell’abbastanza”, lo avevano adottato quasi come lingua pasoliniana.
Ma è soprattutto la musica che contribuisce nell’immersione drammatica dei fatti raccontati; la mancanza di facili armonie e stupidi ritornelli, e invece il continuo ripetersi di suoni spezzati e stridori sgradevoli, provocano disagio e intolleranza. Proprio quei sentimenti che si provano nell’intero film (le musiche sono tratte dall’album “Città notte” del 1972 del musicista Egisto Macchi.
Rispetto al loro già notevole e pregevole primo film “La terra dell’abbastanza”, i fratelli D’Innocenzo con “Favolacce” fanno un ulteriore grande e stupendo salto di qualità. Un’altra gradevolissima sorpresa che ci ha regalato il nuovo cinema italiano.
Il trailer ufficiale