di Franco Maria Romano
La pandemia virale che ha funestato e cambiato radicalmente le nostre abitudini in questi ultimi mesi ha rappresentato una grande sfida per la salute ed il benessere delle persone di tutto il mondo ed, insieme alla salute umana, ha posto gravi minacce alla stabilità sociale ed alla prosperità economica.
Tutte le misure adottate per contrastarla, dalla quarantena volontaria individuale al monitoraggio attivo volontario dei contatti, al distanziamento sociale, almeno finora, hanno dimostrato la loro efficacia ed è importate stabilire il momento in cui bisogna mitigarle dato l’impatto che hanno avuto sulla libertà individuale e sulle risorse economiche.
Principi di responsabilità e precauzione negli scritti di Hans Jonas
Negli anni Cinquanta del XX secolo, nella prospettiva e timore di una catastrofe nucleare, vennero fuori termini nuovi quali il “principio di responsabilità” ed il “principio di precauzione”, intimamente connessi tra loro. “La speranza che l’umanità non distrugga se stessa è legata solo alla paura” Questo veniva espresso da Hans Jonas (1903 – 1993, filosofo tedesco di origine ebraica naturalizzato statunitense) negli anni della guerra fredda e della bomba atomica.
Teoria tanto pessimista quanto veritiera. In effetti, Jonas sosteneva che l’unico modo per evitare la distruzione totale fosse, da parte dell’umanità, quello di dotarsi di un governo mondiale autocratico, mirante a imporre un controllo assoluto della natura per evitare il pericolo nucleare oltre che la catastrofe economica. Il conseguente “principio di responsabilità” viene interpretato tra utopia ed autoritarismo o, meglio dire, autorevolezza.
Questo principio, di grande attualità, perché non resti una vuota e splendida enunciazione fine a se stessa, dovremmo assumerlo come un valore che riguarda non solo noi, ma l’intero ecosistema, di cui siamo parte.
Esiste un punto critico di come realizzarlo, ossia come si possa passare dal volere al dovere essere responsabile ed una soluzione si può provare a trovarla nella mediazione del “potere” nella sua specifica manifestazione umana, tra il sapere e la libertà.
Pandemia e responsabilità
Hans Jonas cerca in questo lavoro di andare alle radici filosofiche del problema della responsabilità, che non concerne soltanto la sopravvivenza, ma l’unità della specie e la dignità della sua esistenza.
L’altro principio, quello di precauzione, potenzialmente è più realizzabile sul piano politico, cioè se vi è il dubbio che una decisione abbia conseguenze nefaste per la salute, quella decisione va differita, almeno fino a quando non si siano prodotte prove convincenti dell’assenza di danni.
Uno dei maggiori problemi che pone tale principio è darne un contenuto più tecnico, evitando che, anche questo, possa rimanere solo una petizione astratta. Nasce in un contesto di protezione ambientale e di Sanità Pubblica e solo in esso può essere correttamente approvato.
Non è un problema squisitamente scientifico, se così fosse interesserebbe una parte molto limitata di scienziati. Ma formulare ipotesi sulla forma della relazione tra assembramento sociale e letalità implica e ha obbligato a prendere radicali decisioni. Si corre il rischio che se applicato alla lettera può divenire banale e paralizzante.
Prevedibilità della pandemia tra etica, ambiente e biotecnologie
Nel febbraio del 2003, Paolo Vineis pubblica questo piccolo manuale dal titolo più che affascinante ed estremamente attuale: “Etica, Ambiente e Biotecnologie”, da cui ho tratto i maggiori spunti per queste mie riflessioni. Decisioni politiche, di stati e parlamenti si incontrano e scontrano con temi di salute pubblica, e i problemi che Vineis ci presenta sono quelli con cui come individui e come cittadini avremo a che fare sempre più frequentemente un domani, oggi, più che mai attualizzato.
Un altro punto a cui Vineis dedica la sua attenzione è che uso fare delle intensificate capacità della medicina predittiva, cioè della possibilità di disegnare una vera e propria mappa dei rischi a cui la salute degli individui è più esposta, in un momento in cui non disponiamo ancora di possibilità terapeutiche adeguate.
Ad esempio: un datore di lavoro o una compagnia di assicurazione possono sapere che un individuo ha più possibilità di ammalarsi, e dunque rifiutargli il lavoro o la copertura previdenziale e per contro allo stesso individuo avere quelle informazioni non serve a nulla, anzi può venirne semplicemente danneggiato ed in modo grave.
Pandemia e dati personali
Risulta necessario affrontare ed approfondire nuovi problemi che vengono dalla diffusione dei propri dati personali: ripercussioni e considerazioni bioetiche, diritto di “non sapere”; gestione della privacy, in relazione al diritto collettivo di tutela della salute pubblica; proprietà dei dati personali da google-multimediali per fini di marketing, a proprietà pubblica per fini collettivi.
Malgrado queste remore, passata l’emergenza coronavirus, che sta mostrando tutti i limiti della sanità tradizionale, non potrà mancare una chiara scelta verso il digitale e una regia nazionale per costruire un sistema predittivo, partecipativo, personalizzato e preventivo.
La complessità dei trattamenti proposti dal Ministero per affrontare la pandemia, mette in evidenza inoltre l’ampiezza del processo di digitalizzazione caratteristico dei nostri tempi e come tale processo dovrà subire un’importante accelerazione. È auspicabile la definizione di un tessuto normativo del tutto nuovo, volto a definire, da una parte, le modalità di utilizzo di questi nuovi strumenti e, dall’altra, a garantire un equo bilanciamento tra i diritti di volta in volta interessati.
Chi è obbligato a decidere, cioè a tagliare qualcosa in favore di qualcos’altro, può aiutarsi con le parole di Don Milani, che ci ricorda che “non c’è nulla che sia ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali” (Scuola di Barbiana. Lettera a una professoressa. Firenze: Libreria Editrice Fiorentina, 1967).