Angelo Panebianco difende libero mercato e imprese
di Giovanni Burgio
Qual è la conseguenza più grave causata dalla pandemia? Il ritorno dell’intervento pubblico nell’economia, ovvero il nuovo capitalismo di Stato.
Angelo Panebianco, politologo e opinionista del Corriere della Sera, ne è convinto profondamente, e nell’intervento di lunedì 8 giugno, dal titolo “La nuova ondata statalista”, ne fornisce ampie ragioni.
Il ritorno del capitalismo di Stato
Secondo il professore, in Italia gli estimatori del capitalismo di Stato sono molti, e questi “mai scomparsi nemici del mercato e della libera impresa”, approfittando del Covid 19, stanno imponendo la loro linea economica.
Proseguendo, afferma che i più “lucidi, i consapevoli, sanno benissimo che più cresce la presenza dello Stato nell’economia più cresce anche il tasso di autoritarismo in tutti gli altri ambiti della vita sociale, politica in testa”, ma non se ne preoccupano, perché “Consapevolmente, lucidamente, sono nemici della società libera, detestano la democrazia liberale”.
Quelli che invece sono “inconsapevoli credono che sia possibile restringere le libertà economiche senza che ciò pregiudichi il godimento delle libertà politiche e civili”. Non sanno quest’ultimi che “se si sopprime o si limita la libertà politica farà una brutta fine anche quella economica. E viceversa”.
Economia di Stato: Prodi e Cottarelli?
Poi Panebianco parla anche di quelli che “certamente apprezzano il valore del mercato e delle imprese” ma “sembrano rassegnati di fronte all’incombente ondata statalista”. Uno di questi è Romano Prodi, che “spera che la partecipazione dello Stato tramite la Cassa depositi e prestiti alla governance delle imprese sia limitata ai casi di imprese strategiche, indispensabili per il nostro futuro. Ma si augura anche che il necessario intervento pubblico sia un fatto temporaneo”. E c’è pure Carlo Cottarelli, che “condivide, anche lui auspica che l’intervento pubblico sia temporaneo”.
A questi personaggi pubblici il politologo pone alcune domande: “Cosa s’intende per temporaneo? Sei mesi? Un anno? Un decennio? Un cinquantennio?”. E poi: “Chi decide quali siano le imprese strategiche in cui l’intervento pubblico sia reso necessario?”.
Le obiezioni
Da questi brevi stralci dell’articolo si può chiaramente dedurre che Panebianco ha una visione ben precisa del rapporto economia-libertà, e che lui si schiera decisamente da una parte, con un evidente schema ideologico. In questo non c’è niente di male, ma alcune cose vorrei contestare.
Dopo l’incipit quasi “trumpiano” che vede la Cina con il suo regime autoritario volutamente nascondere la notizia del “virus”, Panebianco propone un capitalismo puro e originario, con il libero mercato e la libera concorrenza. Ma, si può obiettare, oggi la condizione dell’economia mondiale, con la selvaggia “deregulation” del lavoro e la concentrazione in mano di pochi monopoli dell’intero mercato globale, si può senz’altro definire “liberista”. Concetto e aggettivo che il professore non menziona mai. Altro che libero mercato e corretta concorrenza.
Poi c’è il nucleo centrale di tutto il ragionamento, l’assioma secondo il quale “l’intervento statale nell’economia genera inevitabilmente la soppressione delle libertà”, e viceversa “Un regime autoritario ha necessariamente un’economia pubblica egemonizzante”.
L’economia mista italiana
A questo si può obiettare che se spesso lo stato autoritario impone un’economia centralizzata, dirigista, l’inverso è molto difficile che avvenga. L’Italia che, come ricorda lo stesso Panebianco, nel passato ha adottato un regime misto pubblico-privato, ne è un esempio.
Infatti, nella cosiddetta Prima Repubblica pur avendo attuato questo tipo di economia mista, non si è instaurato un pericoloso regime liberticida-autoritario. È vero invece che si sono prodotti clientelismo, corruzione, inefficienza; cose ben diverse dal centralismo e dalla mancanza di democrazia. Ma questo sarebbe un altro discorso.
E dopo questi rilievi di carattere teorico è bene vedere la realtà, considerare la vita sociale e la condizione delle persone. Forse che l’allarme lanciato dal politologo proporrebbe un attacco a tutto ciò che può essere pubblico?
Attacco ai servizi pubblici e ritirata dalla economia di stato
In questi giorni d’incubo sanitario, quello che tutti, o quasi, hanno ritenuto essere essenziale e fondamentale, cioè una Sanità pubblica e un sistema sanitario centrale, deve essere messi in discussione? La visione liberista, di mercato, di importanti economisti e ideologi italiani vuole privatizzare questo settore che fino ad ora ha garantito tutti? Si vuole forse importare in Italia l’organizzazione sanitaria americana basata sulle assicurazioni private?
In questi ultimi decenni è avvenuto l’esatto contrario di quello che teme Panebianco: si sono sottratte ingentissime somme alla sanità pubblica per favorire quella privata. Scuola e sanità sono state smantellate come servizio alla comunità per essere integralmente “aziendalizzate”. Servizi pubblici essenziali come trasporti, energia, acqua, sono stati privatizzati, con pessimi risultati per i cittadini e disastrosi indebitamenti dei bilanci pubblici.
Ritornare al pubblico in alcuni di questi settori non sarebbe quindi utile e necessario?
Siamo una democrazia malandata?
Infine Panebianco nel suo discorso fa un’affermazione che mi pare particolarmente criticabile.
In Italia, dice, durante la prima Repubblica, si è adottata un’ampia economia pubblica, un massiccio intervento dello Stato nel mercato. Era quella che si diceva “un’economia mista”. E quindi, secondo la teoria di Panebianco, le libertà sarebbero dovute essere compresse e soppresse, e invece lui dichiara “mantenemmo una sia pure malandata democrazia. Come mai? La risposta è che c’era la guerra fredda e noi eravamo ancorati al blocco occidentale. Conservammo democrazia e libertà non per merito nostro ma in ragione delle condizioni internazionali dell’epoca”.
Si potrebbero portare diversi argomenti per confutare sia la definizione del nostro sistema come “malandata democrazia” sia il racconto di una recente storia d’Italia tutta pensata e pilotata dall’estero, dagli Stati Uniti, dall’Unione Sovietica, ecc.
Ma vorrei citare solo tre delle tante guerre che sin dalla nascita della Repubblica, sindacati, partiti, intere parti della società italiana hanno combattuto e vinto.
La prima dura e lunga resistenza della democrazia italiana è stata contro i numerosi e ripetuti tentativi di “golpe” e sovversione effettuati da servizi segreti deviati, da logge massoniche, da organizzazioni paramilitari, dall’estrema destra neofascista: le centinaia di morti e feriti lasciati nelle piazze meriterebbero maggior rispetto.
La seconda battaglia vinta è stata quella contro il terrorismo rosso: un cancro annidatosi dentro la società che si è riusciti a sconfiggere grazie all’unanime condanna del mondo politico, sindacale, civile.
La terza lotta, che è tuttora in corso e che in Sicilia ha ottenuto notevoli risultati positivi, è quella contro la criminalità mafiosa: lunghi anni di omicidi, violenze, prepotenze, in vasti territori estranei al dominio dello Stato. Intere comunità si sono ribellate e hanno reagito facendo prendere coscienza all’intera nazione del terribile dramma.
Non saremmo certo una secolare ed evoluta democrazia occidentale, ma non possiamo neanche definirci deboli, malandati, immaturi cittadini di un fragile Stato democratico.
Foto in copertina: Photo by Keegan Houser on Unsplash