di Francesco Bellanti
Visto che tanti me lo hanno chiesto dopo la mia lettera al Presidente della Regione, pubblico integralmente una mia riflessione sull’identità siciliana, che già era apparsa in modo un po’ dispersivo in alcuni post sui social, che certo non è definitiva ma può aprire un dibattito.
Questa riflessione nasceva dal fatto che, per molti anni, durante la mia attività di docente, avevo notato che molti studenti ignoravano che cosa fosse l’identità culturale siciliana perché in realtà non conoscevano la storia di Sicilia.
Nella vita di tutti i giorni, poi, avevo potuto constatare che, purtroppo, anche persone di buona cultura e politici navigati avevano le idee confuse sull’argomento.
Le recenti polemiche scaturite dalla questione della delega dell’identità siciliana a un leghista da parte del Presidente Musumeci me ne hanno dato la conferma. Ecco allora la mia idea sull’identità siciliana come l’ho delineata in una prefazione a un libro di Angelo Amato sulla storia di Sicilia, Un’inedita Sicilia, pubblicato poco più di un anno fa.
…Sì, un eccesso di identità, così la definiva Gesualdo Bufalino, un’isola “plurale”. Una Sicilia plurale dove tutto è cangiante, contraddittorio. E allora abbiamo la Sicilia babba e la Sicilia sperta, dice Bufalino, o la Sicilia pigra e quella frenetica. Questo eccesso di identità deriva dal fatto che la Sicilia ha fatto da cerniera tra l’Oriente e l’Occidente, tra l’Africa e l’Europa.
Ecco quindi l’ambiguità psicologica e morale del siciliano, il silenzio e il rumore, il lutto e la luce, la dimensione teatrale del vivere, l’esuberante ospitalità, il pessimismo, il fasto funebre dei riti e delle parole, la poesia e la filosofia, il mito e il sofisma, e tutta questa confusione si trasforma nella percezione deviata della famiglia, in una devastante solitudine.
Tante, dunque, sono le Sicilie che dobbiamo definire, prima di proiettarne una (o tutte?), vera, e soprattutto utile, in questo millennio. Quale Sicilia? Quella di Crispi o quella di Gentile? Certamente non quella mafiosa ma quella di Mattarella, Rizzotto, La Torre. Quale Sicilia? Quella povera e miserabile, arretrata, della visione conservatrice (anche reazionaria) di Verga, o quella decadente, intimistica, del disfacimento di una classe sociale che decade verso il nulla, insomma, quella gattopardesca del sonno? La Sicilia del pessimismo storico di De Roberto? La Sicilia pigra e indolente, sprofondata nel silenzio dei millenni, o quella di una società corrotta e mafiosa, omertosa, di Sciascia? Quella poliziesco-metafisica di Camilleri, la Sicilia mitica di Bonaviri, la Sicilia del rancore proletario di Buttitta, la Sicilia sensuale e lussuriosa di Brancati, la Sicilia del viaggio e del ritorno in un tempo arcaico di Vittorini, sì, una Sicilia mitica, fiabesca e simbolica, il viaggio della presa di coscienza? Oppure la Sicilia impregnata di sofferenza e di morte, della scoperta lancinante e violenta del passato cantata in moduli poetici da Consolo? No, forse la vera Sicilia è quella universale e senza tempo della dissoluzione dell’io e della solitudine dell’uomo moderno di Pirandello, del genio immenso di Pirandello. Forse.
Quante Sicilie! Certo non le Sicilie imperfette o ordinarie, parziali, caotiche, a mio modo di vedere, di scrittori ancora viventi che non lasciano trasparire un’idea precisa della Sicilia, e che io considero al momento epigoni, imitatori, indecifrabili, quasi tutti sopravvalutati, sfruttati dalle case editrici, preda – queste – di mode passeggere e del consumismo editoriale superficiale. Meglio allora la Sicilia esuberante ed effervescente, stravagante e metafisica, pazzesca, inverosimile e al contempo geniale (e proprio per questo, probabilmente, spesso incompresa dalla critica o rifiutata dalla editoria cosiddetta ufficiale), di scrittori come Ottaviani, Cappellani, anche Buttafuoco, e – umilmente e ultimo – il sottoscritto.
Qual è, allora, la vera Sicilia? Quella del paesaggio infernale descritta nel Gattopardo, del voluttuoso vaneggiare, o il paradiso sognato dai Greci, dai Romani, dai Germani, dagli Arabi, da tutti i popoli del mondo, il giardino d’Europa? È il profumo delle arance, il profumo di tutti i profumi, del sole, del mare, della terra e del fuoco, il profumo delle viti in fiore, degli ulivi contorti maestosi, dei cedri e dei limoni, il profumo delle albicocche e delle pesche mature, della zàgara, delle palme e dei fichidindia, delle rose e dei giardini? O è, la Sicilia, la stordente bellezza di un paesaggio, di uno spazio e di un tempo in cui tutto può accadere?
Qual è la vera Sicilia, insomma? È la vera Sicilia la terra dei grandi imperatori e delle civiltà superbe, terra di santi e di poeti, di scienziati eccelsi e di filosofi, terra di scrittori e di legislatori, di Archimede, Empedocle, Gorgia, Majorana, Antonello da Messina, Scarlatti, Bellini, Ruggero II, Federico II, della Scuola poetica siciliana? Chissà, questa è forse la vera Sicilia, incrocio di popoli fecondi, di culture profonde, terra di tolleranza. La Sicilia amata da Dante (E la bella Trinacria, che caliga/tra Pachino e Peloro, sopra ‘l golfo/che riceve da Euro maggior briga,/non per Tifeo ma per nascente solfo,/attesi avrebbe li suoi regi ancora,/nati per me di Carlo e di Ridolfo,/se mala segnoria, che sempre accora/li popoli suggetti, non avesse/mosso Palermo a gridar: “Mora, mora!”. Divina Commedia, Paradiso, Canto VIII, vv.67-75), Pascoli, Carducci, la Sicilia misteriosa e arcana, dai mille volti senza tempo.
La Sicilia degli stranieri. Sì, la Sicilia di Idrisi, Stendhal, Tucidide, Plutarco. Forse è questa la vera Sicilia.
La Sicilia di Guy de Maupassant (La Sicilia è il paese delle arance, del suolo fiorito la cui aria, in primavera, è tutto un profumo… Ma quel che ne fa una terra necessaria a vedersi e unica al mondo è il fatto che da un’estremità all’altra, essa si può definire uno strano e divino museo di architettura), (Viaggio in Sicilia, 1885); la Sicilia di un altro grande, il più grande dei tedeschi, Wolfgang Goethe (L’Italia senza la Sicilia non lascia immaginazione alcuna nello spirito: soltanto qui è la chiave di tutto. La purezza dei contorni, la morbidezza di ogni cosa, la cedevole scambievolezza delle tinte, l’unità armonica del cielo col mare e del mare con la terra… chi li ha visti una sola volta, li possederà per tutta la vita), (Viaggio in Italia, 1817). Ecco, quale Sicilia dobbiamo consegnare alla posterità? Quella che Bufalino definisce “ambiguità psicologica e morale” del siciliano, la luce e il buio, o quell’altra fantastica di Sciascia (L’intera Sicilia è una dimensione fantastica. Come si fa a viverci senza immaginazione?), come a dire che egli ne aveva tante di Sicilie.
Il posto più stupendo del mondo, come lo definì ancora Goethe, con il promontorio più bello del mondo, il paradiso sulla terra di Federico II, che proprio per questo non invidiava a Dio il suo paradiso, la terra di bellezze superba di Lucrezio, la Sicilia antica madre di Carducci, il massimo e splendido soggiorno di Idrisi, la terra amata da Cicerone, il museo del Mediterraneo, il capolavoro della natura, centro d’un mondo, terra illustre, del diplomatico francese Hanotoux, la nuvola rosa sorta dal mare, il luogo dove giunge chi sogna di Pascoli, la verde isola Trinacria, dove pasce il gregge del sole di Omero, la più bella tra le città dei mortali di Pindaro, la terra con la poesia più alta e il volgare superiore a tutti gli altri di Dante, la terra degli dèi e degli eroi di Tocqueville, la divina Sicilia di De Amicis, il più fulgido esempio del mondo mediterraneo di Peyrefitte, ecco, questa terra straordinaria, con una capitale greca per le sue origini, romana per le guerre contro Cartagine, araba per le sue cupole, francese per la dinastia degli Altavilla, tedesca per le tombe degli Hohenstaufen, spagnola per Carlo V, inglese per Nelson e Lady Hamilton – è sempre Peyrefitte che parla – vive ancora nella mente dei suoi abitanti in condizioni di subalternità psicologica e culturale.
“In tutta la storia della razza umana nessuna terra e nessun popolo hanno sofferto in modo altrettanto terribile per la schiavitù, le conquiste e le oppressioni straniere, e nessuno ha lottato in modo tanto indomabile per la propria emancipazione come la Sicilia e i siciliani” è stato detto da Karl Marx e da Friedrich Engels. Sì, hanno parlato di un popolo nobile che attende e merita il suo riscatto.
Quante Sicilie abbiamo dentro di noi! La Sicilia greca e la Sicilia barocca, la Sicilia dinamica e laboriosa e la Sicilia araba, pigra, indolente, imponente, furba, presuntuosa e svogliata, quella apatica, dormiente. La Sicilia mafiosa.
L’anima siciliana è sempre in movimento, questa probabilmente è la verità, questa è la sua autenticità, è sempre tesa alla conquista, è l’anima proiettata verso il futuro, non quella che si arriccia e si nasconde, che si attacca allo scoglio. L’anima siciliana è l’anima cosmopolita di Verga e di Pirandello, il viaggio verso l’ignoto per comprendere la propria essenza e definire il proprio posto nel mondo. Verga e Consolo che cantano la Sicilia da lontano, Pirandello che parte da Agrigento per indagare la condizione universale dell’uomo. Il viaggio e il ritorno. L’identità si costruisce ogni giorno, solo così si appartiene a un tempo, e si conosce meglio la propria terra d’origine, la si custodisce nel ricordo e la si canta nella scrittura.
La Sicilia deve essere conosciuta nella sua identità
La definizione, e la costruzione, della identità siciliana come valore è un’operazione che deve partire dalla conoscenza della sua vera storia, anche da spazi e da tempi, da storie e da uomini che possono essere remoti e oscuri, e che poi sono i più veri, lontano dai fuochi artificiali, superficiali, parolai dei salotti settentrionali, della politica romana, dei giornali del nord, dove anche i giornalisti e gli scrittori siciliani danno sempre un’immagine stereotipata e di maniera – neghittosa e fatalista, mafiosa – della Sicilia.
Lo sforzo di ricerca storiografica deve sempre tendere allora alla ricostruzione di una verità storica che deve servire anche a un’altra ricostruzione, quella della identità siciliana, di una storia unica nel mondo, di una terra straordinaria con un patrimonio artistico e culturale immenso.
Eventi e personaggi della storia di Sicilia devono essere rivisitati da prospettive critiche originali, comunque ben documentate, che rimettono in discussione e spesso superano le cosiddette verità ufficiali, per svelare il vero volto di attori e protagonisti, sicuramente diverso da come sono stati presentati dai manuali tradizionali, filo-risorgimentali e assuefatti alle verità di comodo.
Lo studio della Sicilia deve fare emergere la grandezza di una storia unica come quella siciliana che purtroppo è poco nota, perché è stata questa storia, quasi sempre, narrata come appendice o come terra di periferia.
La Sicilia, invece, dopo la caduta dell’impero romano, al di là delle dominazioni che si sono avvicendate, è stata sempre una Nazione, e non bisogna dimenticare che solo da poco più di un secolo e mezzo ha unito il suo destino a quello della Penisola. La storia della Sicilia ha un’unicità che le deriva dall’essere stata l’antesignana dei moderni stati nazionali, grazie ai Normanni e, soprattutto, per merito dell’eccezionale figura di Federico II.
È stata, inoltre, teatro di una delle rivolte popolari più conosciute della storia (I Vespri Siciliani) e vanta uno dei parlamenti più antichi d’Europa. Accanto a personaggi ed eventi grandiosi, la Sicilia per troppo tempo è stata anche terra di misteri e di eccidi, perpetrati spesso ad opera di ignoti, per oscure ed incomprensibili ragion di Stato, che hanno coperto i veri mandanti (I pugnalatori di Palermo, Strage del pane, Strage di Portella della Ginestra, etc.).
Per questa ragione, i contributi storiografici devono essere anche originali e profondi. E devono avere una peculiarità che io direi anche didattica, in quanto nell’epoca della globalizzazione, dell’omologazione, dei grandi Stati sovranazionali, è un messaggio rivolto ai giovani, che devono conoscere la “vera” storia della Sicilia, per salvaguardare – e anche creare – l’identità di una terra che, nonostante le contraddizioni, resta sempre una terra da amare, da vivere e anche da cambiare, se è il caso, al fine di definire e di assegnare ad essa un posto e un destino nel mondo.
In copertina. I faraglioni di Scopello, Castellammare del Golfo (TP). Photo by Samuel Ferrara on Unsplash,
Il professor Bellanti non me ne voglia ma la rivolta siciliana più popolare della storia prese il nome di “Vespro siciliano”, e così la chiamò Michele Amari. Il nome “Vespri” al plurale è un francesismo, ed è curioso che il nome di una rivolta antifrancese riceva il suo nome da quella lingua.