di Giovanni Rosciglione
Considero Giovanni Falcone un vero eroe civile. Un magistrato che alla competenza e al coraggio univa sobrietà e umanità.
Da molti anni il 23 maggio non mi reco più all’Albero Falcone di via Notarbartolo, da quando si è trasformato un rito troppo frequentato anche da chi Falcone l’aveva avversato.
Ora da molti anni voglio ricordarlo andando, di mattina presto, a deporre una rosa sulla sua tomba nel Pantheon di Palermo.
Oggi – forse perché non è previsto l’arrivo di personalità e personaggi – la cancellata era chiusa ed è lì che ho poggiato la mia rosa rossa.
Di pomeriggio, all’ora della bomba di Capaci, io non sventolerò un lenzuolo. Un sudario, che copre i morti.
Ma nella mia casa metterò in vista il tricolore italiano, perché la guerra contro la mafiosità è tutt’altro che vinta e non riprendere la bandiera dell’esercito delle persone oneste sarebbe un errore. Anche per continuare a fare vivere Giovanni.
Torna alla mente quanto ho scritto il 23 maggio del 2014. “Da qualche anno – confesso – non partecipo più alle cerimonie delle stragi mafiose. Sono diventato allergico alla retorica, alla corsa ad accaparrarsi quarti di nobiltà antimafiosa con una passeggiata in via Notarbartolo, allergico alla ritualità senz’anima di chi ha trasformato una cerimonia civile in una messa sacrilega. Non riempirò le piazze, ma questa volta ci sarò…”
In copertina, il portone d’entrata (chiuso) della chiesa di san Domenico a Palermo, considerato il Pantheon della città e che ospita, tra le altre, la tomba di Giovanni Falcone. La rosa è stata posta oggi, 23 maggio 2020.