di Gabriele Bonafede
Si incomincia a vedere un lumicino di ritorno a quella che definiamo ormai “vita normale”. Un lumicino tuttavia oscurato da molti dubbi, ancora lontano, non definibile. La riapertura di negozi e persino bar e ristoranti, e centri di bellezza, è infatti una buona notizia ma anche un rischio.
Siamo in molti a sperare che, comunque, questo coronavirus perda di potenza epidemica con la bella stagione. O che sia effettivamente in fase discendente.
Temiamo, ancora. E siamo tuttavia in una preistoria del XXI secolo. Perché finché non si riapriranno i teatri saremo ancora nella preistoria. Saremo cioè precipitati nella notte dei tempi umani, prima della civiltà. La civiltà, occidentale come orientale, si affaccia alla storia umana solo con l’avvento del teatro.
Teatro che, sotto certi aspetti, è sempre esistito, persino nella preistoria. Prima ancora dell’avvento della scrittura i nostri antenati si producevano in danze che rappresentavano, probabilmente, scene di caccia. Danze propiziatorie, o religiose, oppure semplicemente evocative delle epiche gesta di chi, trovando cibo, permetteva alla comunità di vivere.
E sotto certi aspetti, era teatro anche la tradizione delle storie tramandate per via orale, prima della scrittura. Erano di fatto “monologhi” con almeno un narratore e un ascoltatore: una delle definizioni odierne di teatro in senso esteso.
Poi, con la civiltà greca si arriva al teatro in senso compiuto. Perché c’era il luogo, l’architettura, così come la struttura del racconto, la rappresentazione compiuta, gli attori, il pubblico numeroso, la comunicazione: di vita, società, filosofia, emozioni, suoni e luce. Una luce di civiltà, appunto.
Solo quando torneremo a teatro, cioè agli spettacoli dal vivo e con la platea di spettatori a comporre il luogo e l’esistenza stessa del teatro, potremo dire di essere tornati alla vita. Di essere usciti, non solo dalla preistoria, ma dalla notte del XXI secolo. Quella notte ai tempi del coronavirus che speriamo si riveli più breve del previsto.
L’uomo ha infatti bisogno del teatro per essere degno della parola civiltà. Non è un orpello, una cosa superflua, né un mero divertimento, sia pure nell’accezione estesa del termine.
Il teatro è invece un’attività irrinunciabile nell’era compiuta eppure mutevole dell’umanità. È la precondizione, se non l’essenza stessa, di una società e di una civiltà.
In copertina, Teatro greco di Siracusa foto tratta da pagina Facebook della Fondazione Inda.