Dal grande scrittore una scheggia di genio letterario che oggi, come 75 anni fa, suona vivida e attualissima, in piena era Covid-19. La nostra traduzione
di Geppo Ariafina
Il Covid-19 ha riacceso l’interesse per “La peste” di Albert Camus. Qui riporto un testo precedente alla pubblicazione del romanzo. L’autore dava raccomandazioni ai medici per affrontare la pandemia. Una scheggia di genio letterario che, oggi, come settantacinque anni fa, risuona profetica, come esortazione al ruolo e al coraggio chi ha lottato, e lotta, contro il male.
Tutto ciò, se vogliamo, è interpretabile su un quadro più ampio. Se la si legge in un certo modo, infatti, l’esortazione sembra rivolta anche, se non soprattutto, agli scrittori.
Ecco il testo di Albert Camus, dal titolo “Esortazione ai medici della peste”.
“I buoni scrittori non sanno se la peste è contagiosa. Ma, credono che lo sia. Ed è per questo che, signori, pensano che si dovrebbero aprire le finestre della stanza dove si visita un malato. Ricordate solo che la peste può benissimo trovarsi nelle strade e infettarvi comunque, sia che le finestre siano aperte o meno.
Gli stessi scrittori consigliano anche di indossare una maschera con gli occhiali e di mettere un panno imbevuto di aceto sotto il naso. Portate un sacchetto con tutti gli estratti consigliati nei libri: melissa, maggiorana, menta, salvia, rosmarino, fiori d’arancio, basilico, timo, serpentina, lavanda, alloro, corteccia di limone e scorza di mela cotogna.
Sarebbe auspicabile che fossero vestiti interamente di gomma. Anche così, si possono fare degli aggiustamenti. Ma non sono possibili aggiustamenti nelle indicazioni su cui gli scrittori buoni e cattivi sono d’accordo. La prima è di non prendere il polso di un malato senza prima immergere le dita nell’aceto. Indovinerai il perché. Ma forse la cosa migliore sarebbe quella di astenersi dal farlo. Perché se il paziente ha la peste, non sarà rimosso da quella cerimonia. E se ne è uscito illeso, non ti avrà chiamato.
In tempi di epidemie, ognuno si prende cura del proprio fegato, per evitare confusione.
“Bisogna pensare spesso alla propria ignoranza, per essere sicuri di osservare la moderazione, l’unica signora delle epidemie”.
La seconda indicazione è quella di non guardare mai il paziente in faccia, per non mettersi sulla strada del suo respiro. Ecco perché, se, pur dubitando dell’utilità della procedura, avete aperto la finestra, sarebbe bene che non vi metteste nella corrente d’aria, che può al tempo stesso portare sullo sterno del malato.
Inoltre, non visitare i pazienti mentre sono a digiuno. Non sarebbero in grado di resistere. Tuttavia, non mangiare troppo. Ci si perderebbe d’animo. E se, nonostante tutte le precauzioni, una goccia di veleno gli cade in bocca, beh, non c’è rimedio, a meno che non inghiottano la saliva durante tutta la visita. Questa è l’indicazione più difficile da seguire.
Una volta osservato, a torto o a ragione, tutto ciò non dovrebbe essere considerato sicuro. Ci sono infatti altre misure che sono molto necessarie per la protezione del corpo, anche se riguardano piuttosto la disposizione dell’anima.
“Nessun individuo – dice un autore antico – può permettersi di toccare nulla di contaminato in un paese dove regna la peste.” Ben detto. E non c’è angolo che non dobbiamo purificare in noi stessi, anche nel più segreto dei nostri cuori, per mettere dalla nostra parte le poche opportunità che ci rimangono. Questo vale soprattutto per i medici come voi, che sono più vicini, se possibile, alla malattia e quindi ancora più sospettosi. Devi dare il buon esempio.
Per cominciare, non bisogna mai avere paura. È risaputo che la gente svolge molto bene il suo lavoro di soldato con la paura delle armi. Ma la verità è che i proiettili uccidono sia le persone coraggiose che quelle spaventate. Il caso ha un effetto sulla guerra, ma molto poco sulla peste. La paura infetta il sangue e riscalda gli animi: lo dicono tutti i libri.
Così, predispone a cadere sotto l’influenza della malattia. E perché il corpo superi l’infezione, l’anima deve essere forte. Certo, non c’è paura peggiore della paura alla fine della giornata, perché il dolore è temporaneo. Perciò voi, medici della peste, dovete affrontare l’idea della morte e riconciliarvi con essa, prima di entrare nel regno che la peste vi prepara. Se siete vittoriosi in questo, sarete vittoriosi in tutte le cose, e li vedrete sorridere in mezzo al terrore. In conclusione, avranno bisogno di una filosofia.
Dovranno anche essere discreti in tutto, il che non significa, affatto, essere casti; un’altra forma di eccesso. Coltivare una gioia ragionevole affinché il dolore non alteri la fluidità del sangue e lo prepari alla decomposizione. In questo senso, non c’è niente come usare il vino in buona quantità, per alleggerire un po’ l’aria di pesantezza che ti arriva dalla città puzzolente.
In termini generali, osservate la moderazione, il primo nemico della peste e il dominio naturale dell’umanità. Nemesi non era, come si diceva a scuola, la dea della vendetta, ma della moderazione. E consegnava i suoi terribili colpi agli uomini solo quando si erano dati al disordine e alla dissolutezza. La peste viene dall’eccesso. È di per sé un eccesso e ignora la moderazione. Tenetelo a mente se volete combatterlo con la chiaroveggenza.
Non sono d’accordo con Tucidide che parla della peste di Atene e dice che i medici non sono stati d’aiuto perché, in linea di principio, hanno affrontato il male senza saperlo. L’epidemia ama i tuguri segreti. Portategli la luce dell’intelligenza e della correttezza. In pratica, vedrete che è più facile che non inghiottire la vostra saliva.
Infine, devi essere in grado di controllarti. E, per esempio, assicuratevi che le regole che avete scelto, come il blocco e la quarantena, siano rispettate. Uno storico provenzale dice che, in passato, quando un detenuto riusciva a fuggire, gli spaccavano la testa. Non lo vorrebbero. Ma non ignoreranno nemmeno l’interesse generale. Non faranno eccezioni alle regole fintanto che saranno utili, anche quando il loro cuore è teso. Vi si chiede di dimenticare un po’ chi siete e di non dimenticare mai ciò che dovete a voi stessi. Questa è la regola dell’onore silenzioso.
Armati di questi rimedi e virtù, dovrete solo affrontare la stanchezza e mantenere viva la vostra immaginazione. Non bisogna mai, ma mai, abituarsi a vedere gli uomini morire come mosche, come avviene oggi nelle nostre strade, e come è sempre stato, da quando la peste ha preso il nome di Atene. Non mancherete di commuovervi alla vista delle gole nere di cui parla Tucidide, che trasudano un sudore sanguinoso e di cui la tosse rauca rimuove a malapena gli sputi isolati, piccoli, salati, color zafferano. Non si muoveranno con dimestichezza tra le carcasse da cui fuggono anche i rapaci per sfuggire all’infezione.
E continueranno a ribellarsi alla terribile confusione in cui chi nega la propria cura agli altri perisce in solitudine, mentre chi si sacrifica muore in un mucchio; in cui il godimento non riceve più la sua naturale approvazione, né merita il suo ordine; in cui si danza sul bordo delle tombe. In cui l’amante rifiuta l’amata per non contagiarla con il suo male; in cui non è il delinquente a portare il peso del delitto, ma l’animale espiatorio che viene scelto in mezzo alla confusione di un’ora di terrore.
L’anima calma è la più ferma. Rimarrete saldi di fronte a questa strana tirannia. Non servirete una religione così antica come i culti più antichi. Ha ucciso Pericle, che non voleva più gloria di quella di non far piangere nessun cittadino e non ha cessato di decimare gli uomini e di esigere il sacrificio dei bambini da quell’illustre assassinio fino al giorno in cui è sceso sulla nostra città innocente! Anche se quella religione venisse dal Cielo, dovremmo dire che il Cielo è ingiusto. Se arrivate a questo punto, non ne vedrete l’orgoglio. Al contrario, bisogna spesso pensare alla propria ignoranza, per essere sicuri di osservare la moderazione, l’unica signora delle epidemie.
Inutile dire che niente di tutto questo è facile. Nonostante le maschere e i sacchettini, l’aceto e la gomma; nonostante la placidità del coraggio e la fermezza degli sforzi, arriverà il giorno in cui non potranno sopportare la città piena di gente che muore, la folla che vaga per le strade surriscaldate e polverose, le grida, l’angoscia senza futuro. Verrà il giorno in cui vorranno gridare con disgusto alla paura e al dolore di tutti. Quel giorno non potrò parlare loro di alcun rimedio, se non la compassione, che è simile all’ignoranza.”
Albert Camus Les Cahiers de la Pléiade, 1947; Opere complete II, Gallimard, 2006 (Bibliothèque de la Pléiade).
Informazioni sul testo:
Pubblicato insieme a un altro testo nell’aprile 1947 su Les Cahiers de la Pléiade (intitolato “Gli archivi della peste”), “Esortazione ai medici della peste” è stato scritto da Albert Camus probabilmente nel 1941, sei anni prima del libro, di cui è uno dei testi preliminari. Anche se oggi il grande romanzo di Camus è letto e riletto in tutto il mondo, in molte lingue, la raccolta Tracts, per gentile concessione degli eredi di Albert Camus, offre ai lettori la possibilità di scoprire questo testo poco conosciuto ma di grande attualità. (da El Paìs – traduzione dallo spagnolo di Geppo Ariafina).
Il testo tradotto e pubblicato da Bompiani è stato reso disponibile gratuitamente dalla casa editrice. Qui il link, per scaricare il testo pubblicato in italiano e reso gratuito al pubblico.
Immagine di copertina (Albert Camus), tratta da Wikipedia Di sconosciuto – Nobel Prize.org, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=4284351 (ingrandita su un particolare)
Fotografía di Albert Camus nel testo di questo articolo realizzata da Cecil Beaton. Getty Images
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Bisogna pur ricordare che negli anni quaranta, epoca in cui fu pubblicata “ La peste”, per quanto si sfoglino gli annali, non si troverà traccia di peste nè ad Orano nè altrove. Storia fantastica, pura fantasia, quindi, supportata però da una corretta descrizione dei fenomeni ed accadimenti socio-sanitari con una ricerca analitica e puntuale dell’Autore come opportunamente viene ricordato dallo scritto suindicato.
Ma attenzione: “La peste” è un libro altamente simbolico, raffigura la lotta dell’uomo contro l’oppressione. Letto in chiave politica si troverà traccia evidente di una peste altrettanto nefasta, la seconda guerra mondiale, le ideologie che hanno sconvolto le menti degli uomini, le nazioni divise, l’impossibilità di comunicare tra una parte e l’altra, la vita che continua tra il razionamento e il mercato nero, i campi di concentramento, il senso dell’esilio, l’oppressione della morte.
La “Peste” vuol essere una condanna globale, irreversibile: ogni volta che l’uomo viene offeso nella sua persona, nella sua dignità, là è la peste.
Infine nel “Il rovescio e il diritto” Camus afferma come il medico cura perchè quello è il suo dovere e così riesce a capire “ in mezzo al flagello, che nell’uomo ci sono più cose da ammirare che da disprezzare”.
Nel 1957 l’Accademia Svedese nell’attribuire a Camus il premio Nobel ricordava che “La peste è un’opera che mette in luce con penetrante serietà i problemi che vengono posti, ai nostri giorni, alla coscienza degli uomini”.