di Gabriele Bonafede
In una epidemia globale, una pandemia, è possibile che si facciano errori. Gli errori fanno parte dell’umanità. E con il senno di poi, c’è stato forse un errore di “timidezza” da parte del sistema organizzativo sanitario internazionale.
Forse, da parte dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità, o WHO nella sigla in inglese) nella vicenda del coronavirus si sarebbero potute diffondere pubblicamente stime statistiche e proiezioni, anziché solo i dati ufficiali.
Quelli ufficiali, si stanno rivelando troppo spesso dati poco credibili e persino assolutamente falsi. Molti Paesi hanno con tutta probabilità comunicato numeri di contagi e decessi evidentemente non credibili.
OMS e pandemia
Comprensibile che i numeri siano stati di molto sottostimati dai singoli Paesi, per lo meno all’inizio. Innanzitutto, perché in un primo momento ogni Paese aveva paura di essere isolato e di seminare panico. Inoltre, si era nel picco dell’influenza stagionale e, inizialmente, i sintomi del coroavirus sembravano uguali, o quantomeno simili all’influenza “ordinaria”. Vanno aggiunte le oggettive difficoltà e i costi nel testare la consistenza reale del fenomeno. Cioè effettuare tamponi a molte persone per una nuova malattia.
Ma sulla base dei dati ufficiali in Cina, alcune analisi statistiche avevano dimostrato molto presto che i casi cinesi potrebbero essere stati molti di più. Questo accadeva già agli inizi di febbraio 2020. Comprensibile, anche qui, che l’OMS abbia voluto accettare per buoni i report cinesi per aiutare la Cina ad agire velocemente. Una strategia che, per lo meno in Cina, è stata corretta. Tuttavia, il messaggio passato al resto del mondo è stato, oggi è chiaro, quello della sottovalutazione del problema coronavirus.
Fino a un certo punto è stato giusto, comunque, non dichiarare una pandemia. O per lo meno comprensibile. Anche perché, diversi paesi del Sudest Asiatico sembravano aver trovato il modo, forse aiutati dalle condizioni climatiche, di affrontare e ridurre il problema sul nascere.
OMS e il momento critico a scala mondiale
Ma nel corso del mese di febbraio 2020 è diventato evidente a tutti coloro che si occupano di statistica ed in special modo di epidemie, che si dovevano iniziare a pubblicare, insieme ai casi ufficiali, anche stime credibili. Il momento in cui questo andava fatto, è stato quando l’epidemia è purtroppo esplosa in Iran e in Corea del Sud, oltre che nella nave da crociera Diamond Princess.
Da lì in poi si è capito che i tassi di diffusione del coronavirus erano tali da dovere allertare tutto il mondo in maniera decisa ed evidente. I report ufficiali dell’Iran apparivano già a fine febbraio come palesemente falsi. Ma non dell’ordine di alcune decine o centinaia di casi, bensì nell’ordine dì decine di migliaia.
E tutto questo mentre la Corea del Sud attuava un piano decisivo per contenere e dilazionare l’epidemia, iniziando a fare tamponi a tappeto. Ad oggi, l’unico Paese che riporta dati ufficiali vicini ai dati reali è probabilmente la Corea del Sud. Perché utilizza test (tamponi) in maniera molto più massiccia, riuscendo a individuare anche molti casi asintomatici. Che sono il vero “motore” epidemico del coronavirus.
OMS e studi statistici: quel campanello d’allarme inascoltato
A quel punto, l’OMS avrebbe dovuto iniziare a ragionare, oltre che sui dati ufficiali, anche sulle stime statistiche proprie o altrui, comprese analisi e proiezioni. E magari a incoraggiare la loro pubblicazione se non pubblicarli direttamente.
Ciò avrebbe funzionato come campanello d’allarme per tutti. E avrebbe convinto i più, classe dirigente e popolazioni di interi Paesi, ad aumentare l’attenzione e l’allarme. Forse si sarebbe creata un paura, che poi c’è stata comunque, ma almeno ci si sarebbe resi conto molto prima della effettiva gravità del coronavirus. Evitando che qualcuno, come è successo in Italia, andasse in TV a dire scemenze del tipo “è poco più di un’influenza”.
Alcuni studi statistici, e molti esperti, avevano già detto che l’epidemia era già avviata a una vera e propria pandemia già a fine febbraio, se non prima. Ma “non si poteva dire”, per ovvie ragioni. Nessuno vuole fare la Cassandra. E tutti, speriamo sempre per il meglio. Lo si diceva solo in sordina.
Se l’OMS avesse invece mandato un segnale sulla reale gravità del problema, la guardia si sarebbe alzata. E chi era già in grado di fornire stime reali le avrebbe pubblicate con molta più evidenza. Avrebbe anche attirato più attenzione, anziché essere tacciato di pessimismo o allarmismo.
Il costo dei dati poco credibili
Ancora oggi, incredibilmente, paghiamo questo scotto. E ancora oggi, i vari siti che “conteggiano” i casi sono pieni di numeri assolutamente fantasiosi. In Iran, ad esempio, l’epidemia è avanzata per molto tempo praticamente incontrastata. Persino favorita da credenze religiose e censure del governo. A oggi, ha probabilmente raggiunto centinaia di migliaia di persone, probabilmente oltre mezzo milione (qui un link con queste informazioni in base a studi scientifici). I morti e le sciagure non si contano più, né li sapremo mai.
In Turchia, fino a ieri, il governo continuava a dire che non c’era nessun caso di coronavirus nel Paese. Ieri ha ammesso di avere un solo caso. Senza alcuna credibilità, evidentemente. E con effetti che si possono facilmente immaginare. La Turchia infatti ha strette relazioni con l’Iran. E la chiusura delle frontiere con un paese palesemente infetto a livelli sconosciuti, come l’Iran, è avvenuta probabilmente troppo tardi e comunque con poche possibilità di aver fermato effettivamente il contagio. Addirittura a zero casi, poi.
Non parliamo degli Usa, della Russia e di molti altri Paesi, dove i casi riportati all’OMS appaiono, per un motivo o per l’altro, assolutamente sottostimati. Negli Usa i test, i tamponi, sarebbero addirittura molto costosi per il singolo cittadino. Si è continuato a raccogliere folle per la campagna elettorale e altro, ignorando di fatto il problema fino all’altro ieri. Oggi, si prevede una situazione difficile anche negli Usa. Anche perché non esiste una sanità pubblica gratuita e un buon 20% della popolazione non ha una assistenza sanitaria privata.
I dati italiani, i tamponi e l’alta mortalità
I dati, sia pure per problemi più che altro organizzativi, sono molto probabilmente sbagliati anche nel mondo occidentale. In Italia, sono dati sottostimati per implicita ammissione di ISS e Protezione Civile nelle conferenze-stampa giornaliere. Si continua infatti a dire che si stanno facendo tamponi solo sui casi con sintomi. Dunque ammettendo che i casi asintomatici, e sono circa il 20% del totale reale secondo stime di riviste scientifiche accreditate, non sono conteggiati.
I casi italiani vanno dunque aumentati, all’oggi, per lo meno del 20%. Da questo, si capisce che i casi effettivi in Italia sono al momento, almeno 20mila, considerando che anche molti casi sintomatici non sono stati tuttavia trovati e tantomeno accertati. Ciò spiega una parte dell’enorme differenziale nel tasso di letalità tra Italia (5-6%) e Corea del Sud (solo lo 0,7%).
A questo 20% in più di asintomatici, vanno aggiunti, per un report epidemiologico credibile, i casi già in incubazione. Con una incubazione di sette giorni possiamo ragionevolmente, e grosso modo, stimare questi ai casi della settimana precedente (compresi gli asintomatici) moltiplicandoli per l’R0. Cioè il coefficiente di contagio di base di una specifica malattia, che nel caso del coronavirus è stato inizialmente (ma non definitivamente) stimato a 2,3-2.5. Le stime variano, a seconda dell’R utilizzato e altri parametri. Ma sarebbero evidentemente molte migliaia in più.
Epidemie, previsioni e strategie
Va anche detto che le epidemie si evolvono, almeno inizialmente e in assenza di provvedimenti, in maniera esponenziale, quanto l’R è più alto di 1. È tuttavia difficile capire quando ci sarà un picco. Ma è abbastanza semplice capire la progressione del contagio dopo un certo numero di dati. Oggi ci rendiamo conto che la popolazione e le classi dirigenti vanno informate subito della gravità o meno della progressione. E, se vediamo i casi ormai numerosi nel mondo, è abbastanza evidente che i contagiati siano raddoppiati ogni 3-5 giorni a secondo del Paese e la zona.
Le misure adottate in Italia, e si spera quanto prima negli altri Paesi, possono in un paio di settimane ridurre la progressione di molto. E così dilazionare e smussare il picco, permettendo al sistema sanitario di reagire meglio. Oggi lo sappiamo tutti.
Questa pandemia ci ha insegnato principalmente questo fatto: una strategia di pro-azione, anziché di semplice reazione, sarebbe stata molto più efficace. Una strategia, cioè, che anticipi consapevolezza e contromisure rispetto agli eventi possibili.