di Francesco Randazzo
C’è un silenzio strano. Non è un vero silenzio, perché in sottofondo c’è una sorta di rumore bianco, un frusciare sordo, un ronzio sommesso, è quasi assenza di suono, quasi. Uno stato di quiete inquieta, la sentiamo, ma facciamo finta di niente. Anzi, ci agitiamo per non sentire.
Non è facile ascoltarsi, non è facile rimanere soli con se stessi, specchiarsi in un pensiero che rifletta noi in qualcosa di immensamente grande, vuoto, da riempire.
Siamo precipitati in una grande partitura, apparentemente lineare ma complessa, piena di simboli oscuri, sequenze numeriche imperscrutabili. Siamo dentro una pagina dell’Arte della Fuga di Bach o di uno degli ultimi Quartetti di Beethoven. Ogni nota, ogni misura, ogni suono, ha un unico anelito, una disperata volontà, tornare al silenzio, tornare a quella sospensione divina dell’esistenza racchiusa in un respiro trattenuto, essere un punto sospeso tra la realtà del movimento inconsulto e quella del pensiero che afferma l’essere.
La paura, col suo chiassoso menefreghismo, la perfetta vigliaccheria dell’alibi per sé e dell’accusa per gli altri, batte ritmi sconclusionati, rumbe assordanti che offuscano tutto. Si fugge da noi stessi, perché stare con noi stessi è insostenibile, così ci pare, così lo sentiamo. Eppure noi da soli, siamo di più, se da noi stessi, in quel silenzio, sappiamo espanderci e sentire tutto ciò che siamo.
Tutto ciò che è altro da noi, tutto il noi che è in uno, se solo tentassimo di dire a noi stessi cose semplici eppure enormemente importanti. Se solo sapessimo star seduti e guardare un muro, un quadro, un oggetto, un cielo al di là della finestra come se fosse quello il centro del mondo, la radice dell’esistenza, il pesantissimo grano di polvere dell’impermanenza. Sentiremmo insostenibile l’ipocrisia e la cecità di fronte al dolore degli altri, sentiremmo gratitudine per l’essere salvi, sentiremmo la responsabilità d’essere per gli altri.
In questo tempo di miserie e miserabili, di frastuono ed egoismo dissennato, una piccola, quasi invisibile particella di morte, ci da la straordinaria possibilità di stare con noi stessi, nel mondo, per essere migliori di quella turba incosciente, irrazionale e spietata che siamo stati finora.
Dobbiamo fermarci, per ripartire nella giusta direzione.
C’è un silenzio che potrà meravigliarci, se solo ce lo permetteremo.
In copertina, un’immagine della installazione “Mirror paintings”, di Michelangelo Pistoletto, 1980, MoMA, New York, Usa.