di Gabriele Bonafede
L’epidemia di coronavirus insegna molte cose. Ne ha già insegnate tante e ne insegnerà ancora. Si può già stilare con tutta evidenza una lista di almeno dieci lezioni.
Uno. La Sanità deve essere pubblica, per lo meno in larghissima parte. Ovviamente senza escludere quella privata che permette ricerca e confronto, ma la Sanità è chiaramente materia di bene pubblico con forti ricadute sul vivere civile ed anche economico di qualsiasi Stato. Solo con una Sanità pubblica si può sperare di fermare esistenti e potenziali epidemie, che non sono solo quelle influenzali o di coronavirus, ma anche altre. Il caso degli USA è emblematico. Con una sanità privata che esclude da diagnosi e cure una larghissima fetta della popolazione il rischio di epidemia è molto più alto.
Due. La cooperazione tra i Paesi nel mondo è fondamentale per combattere epidemie e malattie. Il coronavirus dimostra che siamo tutti uguali e tutti nello stesso pianeta: non esistono distinzioni, soprattutto di fronte a malattie e pandemie. Il ruolo dell’OMS (WHO nella sigla internazionale inglese) è fondamentale nel monitorare e coordinare gli sforzi per evitare che epidemie in singoli Paesi diventino pandemie trasmesse a scala globale. Il coordinamento degli sforzi è fondamentale. Tuttavia l’OMS va sensibilmente migliorata e potenziata nel ruolo e nella qualità. Parimenti, l’Unione Europea dovrebbe stabilire un dipartimento di coordinamento europeo, se non per la Sanità, per lo meno per le epidemie.
Tre. La Sanità, a prescindere da tutto, va sempre potenziata in maniera qualitativa e quantitativa, soprattutto se ci sono le risorse per farlo.
Quattro. È ormai palese che il numero chiuso nelle università, e non solo quelle dedite alla sanità, è la più grande idiozia che si possa fare. Serve invece istruire e acculturare la popolazione in tutti i campi e a partire dalla scuola. Solo con una popolazione sufficientemente istruita si possono attuare politiche di prevenzione e modelli comportamentali individuali adeguati a fermare un’epidemia.
Cinque. Lo sforzo per istruire la popolazione sull’igiene personale e pubblico deve essere continuo a prescindere, così da stabilire un ambiente sociale più sano e con buone pratiche.
Sei. Si deve combattere con molto più rigore la cattiva pratica delle fake news. Come in altri casi, sul coronavirus sono circolate cose incredibili eppure credute da molti. Creando confusione su un tema nel quale non è ammissibile.
Sette. L’informazione deve essere trasparente e basata su fonti credibili, così da inviare corretti e responsabili campanelli d’allarme in tempo e aumentare la fiducia nelle informazioni, che sono cruciali per fermare un’epidemia.
Otto. Il ruolo delle istituzioni e del sistema di informazioni è fondamentale per arginare panico da un lato e diffondersi di epidemie dall’altro. Ed è anche fondamentale nello stabilire e attuare immediate, responsabili, organizzate ed efficaci azioni di risposta alle epidemie.
Nove. Rimane controversa e comunque legata alle criticità e i tempi di diffusione dell’epidemia la necessità o meno di chiudere le frontiere con i Paesi infetti. Isolare completamente un Paese colpito da un’epidemia è sicuramente fondamentale nelle prime fasi per prendere tempo al fine di studiare nuove malattie e approntare una risposta efficace. Ma l’apertura alla conoscenza sulle malattie, gli scambi commerciali per preservare le capacità economiche e così far fronte alle crisi sanitarie, così come gli aiuti da Paese a Paese, sono anch’essi fondamentali per combattere le epidemie, soprattutto nei Paesi in difficoltà.
Alla lunga l’isolamento dei Paesi colpiti inibisce le possibilità di arginare l’epidemia proprio nei Paesi più colpiti e, nel medio periodo, anche altrove. Se si tratta di Paesi economicamente forti, il contraccolpo economico trasmesso all’economia può ulteriormente aggravare la situazione per tutti. Se l’epidemia colpisce Paesi meno sviluppati (ma non solo), l’isolamento crea una minore efficacia e minori risorse per fronteggiare malattie ed epidemie nel momento i cui divengono isolati, rischiando di farli diventare focolai di ripresa dell’epidemia in tutto il globo.
Dieci. Di fronte a un’epidemia non esistono colori politici, bianchi, neri, rossi, gialli o quello che si vuole. Si deve essere il più uniti possibile a fronteggiare l’emergenza.