di Vincenzo Pino
“Se si fa lo scudo penale io non tengo i miei” squittisce Di Maio in consiglio dei ministri a proposito dell’Ilva, minacciato dal possibile voto contrario della Lezzi e dei ribelli Cinque Stelle.
Come a dimostrare la sua impotenza e la sua incapacità a decidere su un tema così importante per il nostro paese.
Ma l’ometto è fatto così. Oscilla tra delirio di onnipotenza con grande ostentazione mediatica e confessioni d’impotenza nelle segrete stanze del potere.
Insomma, Di Maio si muove, corre, fa persino delle rovesciate su un campo di periferia. Ma alla fine subisce ancora, un poco come Fantozzi nella nota saga cinematografica.
Miracolo Di Maio per Ilva
Lui che da ministro dello sviluppo economico aveva “risolto in tre mesi” la questione ambientale di Ilva nel settembre del 2018.
Cosa che i precedenti governi non erano riusciti a fare in sei anni. Perciò italiani e tarantini potevano dormire sonni tranquilli sotto la sua protezione, perché aveva abbattuto del 20% i fattori inquinanti della fabbrica.
Erano falsi i dati che lui esponeva, ovviamente, come provvide l’Arpa a chiarire dopo qualche settimana. Ma la narrazione doveva seguire quest’andamento miracolistico.
E quando gli attivisti del territorio provvidero a sbugiardarlo con un video virale ad aprile del 2019, Di Maio non parlò più di Ilva e non si fece più vedere in terra di Puglia. Doveva sentirsi una specie di padreterno prima dell’episodio citato.
Lui che definiva le aziende italiane ed estere come “prenditori” che minacciava multe e sanzioni a tutti se avessero voluto de localizzare non sapendo che in Europa esiste la libera circolazione di merci e persone. E ora di fronte al possibile abbandono di Ilva cosa fa il piccolo uomo Di Maio?
Lezzi di parola, ma su posizioni assurde
Dice che non può tenere i suoi se si ripristina lo scudo penale, lui che era stato il protagonista indiscusso di una caccia alle streghe nei confronti degli investitori stranieri. Peggio di un contrappasso dantesco per lui questa vicenda.
E fa specie pensare che ora questo argomento sia in mano alla Lezzi
La Lezzi, che di parola, a differenza di Di Maio, ne ha solo una. E non ha mai oscillato nelle sue assurde convinzioni sullo scudo penale per i lavori di bonifica all’Ilva, a costo di determinarne la chiusura. Forse la Lezzi non sa che lo scudo penale è stato fatto principalmente a garanzia dei quadri intermedi dell’Ilva (qui i dettagli a Ottoemezzo, La7) e non solo dei propritari o massimi dirigenti.
La realtà è che l’Italia, con la questione Ilva, vive oggi uno dei maggiori drammi della propria vita economica il cui destino può essere nelle mani di questi personaggi da corte dei miracoli.
In balia delle vendette trasversali di chi è stata esclusa dal governo, come la Lezzi, e di qualche decina di parlamentari a rimorchio. Mentre, invece, la Castelli con le tante marronate che ha fatto in passato, ed anche recentemente sulle auto aziendali, sta sempre lì.
L’Italia non merita tutto questo. E se ne facciano una ragione quelli che hanno proposto di fare l’alleanza strategica con i Cinque Stelle e che per fortuna cominciano a battere i pugni sul tavolo come fa Del Rio.
Se c’è qualcuno che deve chiedere scusa agli italiani, caro Zingaretti, sono i Cinque Stelle, che con il loro governo giallo-verde, o piuttosto giallo-nero, hanno portato l’Italia sull’orlo di un burrone. E non certo i governi a guida Pd come si dimostra ogni giorno di più.