di Vincenzo Pino
Piuttosto che di Renzi sembra che i pop corn siano oggi il cibo preferito di Zingaretti. Ormai disteso nell’attesa paziente che la Raggi completi la sua sindacatura a Roma.
«Dimettersi? Raggi dovrebbe affrontare con più decisione e collegialità temi per troppo tempo irrisolti», ha dichiarato a Otto e mezzo ieri l’altro.
Unica condizione, perciò, per la permanenza posta da Zingaretti alla Raggi, sarebbe quella di una maggiore collegialità nelle scelte e nelle decisioni.
Espressione che tradotta dal politichese significa imbarcare qualcuno di estrazione Pd nella giunta capitolina.
Sarà difficile gestire quest’operazione nei prossimi due anni, visto i disastri combinati dalla Raggi, cui non potranno ovviare gli eventuali innesti di provenienza Pd.
Ma l’imperturbabile Nicola sembra non avvertire il rischio che questa mossa porterebbe Salvini a vincere trionfalmente le prossime comunali a Roma.
Roma val bene una Raggi
Insomma, viene in mente la celebre frase di Enrico IV “Parigi val bene una messa”, intendendo che la possibilità di regnare valeva ampiamente il “sacrificio” di una plateale conversione da un credo a un altro. Evidentemente, per Zingaretti Roma val bene una Raggi.
Il segretario Pd ragiona di consenso e di alleanze elettorali a prescindere dalle convinzioni e dalla sensibilità dell’elettorato ed anche della storia recente.
Storia recente che ha visto il Pd crescere alle elezioni dei municipi del maggio giugno 2018, quando era più che evidente il suo carattere di opposizione a questa giunta.
In quell’occasione tutte e tre le municipalità romane da rinnovare andarono al centrosinistra. Due al primo turno e la terza a Monte Sacro dove il centrosinistra sconfisse il candidato leghista.
Non si riesce, perciò, a comprendere le ragioni strategiche che porterebbero in questa fase a sostenere la giunta Raggi, se non quella di depotenziare il Pd e i successi raggiunti nell’occasione citata.
Naturalmente Zingaretti si copre nell’occasione dietro il suo ruolo istituzionale di Presidente della Regione che collabora lealmente con altri pezzi delle istituzioni.
Motivazione nobile in astratto ma che fa emergere il suo conflitto di interessi tra ruolo politico e ruolo istituzionale. Insomma questo endorsement romano se lo poteva proprio evitare, Zingaretti.
Zingaretti, a pensar male…
Ma vi sono altre interpretazioni che vanno ben al di là di questa nobiltà istituzionale e riguarderebbero la stessa sopravvivenza della giunta regionale laziale.
Infatti, questo sostegno avrebbe come contraccambio quello dei cinque stelle in Regione. Con la presenza di due assessori a loro graditi in giunta regionale per sostenerne la traballante maggioranza. Lo afferma Mauro Favale su Repubblica e la ricostruzione sembra assai probabile.
Alla fine parrebbe insomma che quasta alleanza strategica con i grillini a livello nazionale serva non solo a fermare Salvini ma anche ad assicurare la sopravvivenza a Zingaretti come Presidente della Regione.
A pensar male si fa peccato, diceva Andreotti, ma spesso ci si azzecca.
E mi conforta che Roberto Giachetti la pensi come me. Lui, unico candidato a Roma del Pd che tutti davano al quarto posto nei sondaggi a sfidare la Raggi. Altro che primarie. Allora nessuno ebbe il coraggio di candidarsi per non rischiare
Mentre al contrario, Giachetti arrivò fino al ballottaggio recuperando alla grande.
E ora dopo anni di opposizione che stanno premiando ulteriormente il Pd, Zingaretti vorrebbe frenarne l’ascesa per fondare una così innaturale alleanza nella capitale di Roma?
No grazie. A questo punto, meglio chiedere le dimissioni della Raggi, magari firmando la petizione lanciata oggi da Italia Viva.
In copertina: Photo by Caleb Miller on Unsplash