di Vincenzo Pino
La perdita del senno che sembra aver colpito Andrea Orlando richiama i motivi della letteratura cavalleresca italiana dell’Ariosto. Accostare il Papeete alla Leopolda è qualcosa che non sta né in terra e neanche sulla luna.
Certo, Orlando ha attaccato gli eventuali partecipanti alla Leopolda come nemici del Pd per evitare la tentazione che molti nel Pd ne fossero attratti.
Con questo attaccto alla Leopolda, ha eretto un muro tra alleati di governo. Accentuando una rottura che non lascerà certo indifferenti i molti che nel Pd non la pensano come lui, sia nella base che nei gruppi dirigenti.
Questo modo di far politica basato sulla demonizzazione quasi personale del potenziale avversario è tipico del giacobinismo totalitario che pervade ormai la comunicazione in Italia.
Infatti, Renzi aveva espresso perplessità su certi aspetti della manovra finanziaria e aveva, al pari di Confindustria, definito del tutto insufficiente lo stanziamento per il limitato beneficio previsto per i lavoratori dipendenti. Che non può avere la pretesa di chiamarsi “abbattimento del cuneo fiscale”.
Invece Orlando ha subito cercato la rissa contro Italia Viva, colpevole di scissione, indicando il luogo simbolo che sarebbe all’origine di questo percorso, la Leopolda, appunto.
Orlando furioso, ma ci sono scissioni e scissioni
Tornando al tema delle scissioni del Pd, ora nefaste, Orlando dimostra di avere la memoria corta, assai corta. E totale assenza di coerenza. In occasione di quella a trazione bersanian-dalemiana del luglio 2017 lui non esitò, assieme a Cuperlo, ad andare nel luogo simbolo di quella scissione, a soli quattro mesi dallo strappo.
Infatti, partecipò alla manifestazione pubblica a Piazza Santi Apostoli degli scissionisti, dando a questo gesto la giustificazione secondo cui il Pd “era un Partito che era nato per unire e non per dividere”.
Ma questa motivazione valida allora oggi, invece, viene declinata all’esatto contrario a distanza di soli due anni.
Si chiama doppiezza. Ed è un tratto tipico di quelle formazioni di origine giacobine e totalitarie che non hanno certo rielaborato il proprio passato per partecipare pienamente e degnamente al consesso delle democrazie liberali.
Ma vi è qualcosa di ancora più sottile nel richiamo di Orlando.
Il supporto di certa stampa
Il raccordo con certa stampa che cerca di accomunare Salvini e Renzi. In questo si è distinto l’Espresso con una copertina che ha lasciato disgustati gran parte dei suoi lettori.
Cui Damilano ha dovuto replicare nella settimana successiva cercando di limitare il danno. Insomma Orlando è ancora figlio di quella tradizione politica che si è imbevuta nelle letture del tipo: “La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky” da cui sembra non essersi distaccato mai.
Ed a questa tradizione fa da da orpello decorativo certa stampa, che indica nel riformismo possibile il nemico principale.
E che connota il riformismo democratico come alleato della destra, riproponendo per questo, quasi la definizione di “social fascismo” di bordighiana memoria.
Tutta gente, questa, che non ha capito le lezioni della storia.