di Pasquale Hamel
Credo che nessuno, in Paese, abbia ricordo del maestro Antonio Di Janni. E dire che è stato, nei pochi anni che ha vissuto nel nostro borgo marinaro, una vera istituzione, un eccentrico artista che ha fatto parlare di sé.
Prima di approdare alla Marina, come direttore della locale banda musicale, aveva vissuto esperienze artistiche di notevole rilievo.
A pensare a Di Janni, era stato l’anziano podestà, il professore Baldassare Marullo, uomo di grande dirittura morale che godeva della fiducia cittadina e, soprattutto, era innamorato della sua terra.
Porto Empedocle, continuava a ripetere, meritava una banda musicale di respiro nazionale e Di Janni era l’uomo giusto per dirigerla.
Riuscì così, non sappiamo a che prezzo, a portare il maestro nella patria della famiglia Pirandello.
L’unico problema che lo tormentava era l’eccentricità del Di Janni, capace di gesti impensabili, in un momento in cui il fascismo trionfante non amava contestazioni di sorta. Il maestro, infatti, dopo un ardente passione per il nuovo regime che l’aveva spinto a chiedere l’iscrizione al partito. Forse perché non amava irreggimentazioni di sorta, aveva deciso di uscirne. Restituendo clamorosamente la tessera.
Il professore Marullo, che pur fascista era al punto da essere designato podestà del Paese, era passato sopra questo particolare attribuendolo alle innocue intemperanze tipiche degli artisti. Per lui era più importante che il Paese annoverasse fra le sue eccellenze anche il maestro Di Janni, tutto il resto lo lasciava al pettegolezzo.
Tutto, dunque, filò liscio e accettato perfino per il non facile capo dei fascisti locali. Famoso per non lasciarsi sfuggire occasione, e di questo godeva e se ne vantava, per rifilare sonori ceffoni a quanti gli apparivano poco ortodossi nella fede fascista.
Di Janni corrispose alle aspettative. La banda musicale del Paese si impose come leader fra le tante benemerite che corrispondevano alla passione dei siciliani per la musica. Divenne perfino l’idolo delle donne di buona famiglia che se ne contendevano la presenza nei loro salotti.
Un giorno, le belle favole trovano sempre un giorno nel quale qualcosa di imprevisto irrompe nella storia e manda tutto a carte quarantotto, accadde qualcosa di memorabile. Qualcosa che spezzò l’idillio fra il maestro e i suoi sostenitori.
Era in corso una cerimonia patriottico-religiosa e la banda del Paese, maestro Di Janni in testa, ne era il pezzo forte. Un ospite importante, un membro del partito, era stato invitato per l’occasione ad assistere all’esibizione.
L’inizio del concerto prevedeva i soliti pezzi introduttivi. La banda del paese suonò, portando l’entusiasmo alle stelle, con particolare verve la “marcia reale” ad apertura. A questo punto si doveva dare fiato all’ouverture dell’Aida.
Il maestro aveva già levato al cielo la bacchetta quando il suo sguardo incrociò la mano alzata dell’illustre ospite che gli chiedeva di fermarsi.
Antonio Di Janni non sembrò felice di quell’interruzione, non amava essere interrotto quando aveva raggiunto l’apice della concentrazione. Tuttavia, per dovere di cortesia, si arrestò.
“Maestro – gli gridò l’illustre ospite – prima di iniziare è d’uso per omaggio al nostro Duce che risuonino le note del nostro inno, date dunque fiato a Giovinezza”.
Di Janni, alzò lo sguardo verso la tribuna delle autorità dove elegante sedeva il professore Marullo, poi lo rivolse al pubblico in fremente attesa: “Manco a parlarne!”
Chiare e forti pronunciò quelle parole. Con le quali si chiudeva la sua avventura empedoclina, fra il rammarico dei più.
La vicenda, tolta la doverosa drammaticità, ricorda almeno un paio di fim di Totò, come da foto di copertina e nel testo (NdR).