Personaggio del giorno grazie al doodle di Google, Kleber è conosciuto in Italia quasi esclusivamente dagli specialisti. Ecco chi era
di Gabriele Bonafede
Herbert D. Kleber era uno psichiatra americano, conosciuto per i suoi studi e il suo operato nel campo dell’abuso di sostanze stupefacenti.
Oggi è ricordato dal doodle di Google e inizia ad acquisire una certa notorietà anche in Italia.
Va detto, infatti, che su Wikipedia esiste una voce dedicata a lui solo in inglese e, curiosamente, anche nelle lingue assamese, persiano e hindi. Fino a oggi non c’era ancora una traduzione in italiano della “voce” Herbert Kleber su Wikipedia.
Nel necrologio di circa un anno fa pubblicato sul New York Times, la giornalista Katharine Q. Seelye lo definì “Pioniere del trattamento della tossicodipendenza”. E in effetti è così.
Kleber, da Yale alla prigione psichiatrica e ritorno
Nato il 19 giugno 1934 a Pittsburgh (Usa), da una famiglia di immigrati ebrei, e morto poco meno di un anno fa, il 5 ottobre 2018 a Santorini (Grecia), Kleber fu direttore del gruppo di lavoro sulla tossicodipendenza (Drug Dependence Unit) alla Yale University di New Haven, Connecticut, Stati Uniti.
Ma prima di arrivare a Yale aveva avuto un’esperienza per il suo servizio militare alla Public Health Service Prison Hospital a Lexington (nel Kentucky). Era la cosiddetta “Drug Farm” (Fattoria della Droga, letteralmente), dove venivano imprigionate migliaia di persone che facevano uso di droghe, anche personaggi famosi come il trombettista jazz Chet Baker o l’attore Peter Lorre. Nella stessa prigione, ma molto tempo dopo, fu internata Silvia Baraldini.
Kleber, appena laureato e specializzato in psichiatria a Yale nel 1964, si offrì volontario nell’ambito del servizio militare e così assegnato alla prigione di Lexington. Questa esperienza, come riporta la giornalista Katharine Q. Seelye sul New York Times (NYT), finì per segnare la sua carriera: “…siccome aveva lavorato a Lexington, tutti prendevano per certo che conoscesse tutto sulla dipendenza da droghe. Dopo tutto, il Lexington’s Addiction Research Center era un incubatore di ricerca avanzata”. Insomma, tutti a Yale chiedevano consiglio a lui.
“Kleber ha contribuito a elevare lo studio della dipendenza a una disciplina e nel corso della sua carriera sul campo ha attratto un crescente interesse clinico e finanziamenti per la ricerca”, scrive la giornalista.
Il suo nuovo approccio alla tossicodipendenza: trattamento e cura
Il suo lavoro era basato sul cosiddetto “trattamento basato sull’evidenza”. Grazie a lui i professionisti hanno adottato un approccio scientifico al trattamento della dipendenza da droghe, in contrasto con l’approccio punitivo e moralistico che prevaleva fino ad allora.
Il suo lavoro a Yale, dove aveva fondato e diretto l’unità di tossicodipendenza, attrasse l’attenzione del presidente George HW Bush, che lo nominò nel 1989 vice di William J. Bennett, il primo direttore dell’Office of National Drug Control Policy, una divisione del governo che si occupa di indirizzare le politiche di contrasto alla diffusione delle droghe.
Ma se ne andò dopo due anni e mezzo, frustrato dal fatto che la maggior parte dei miliardi di dollari stanziati per la fallita “guerra alla droga” della nazione andasse tuttavia alle forze dell’ordine e non alle cure.
Continuò il suo lavoro alla Columbia University di New York, dove stabilì la divisione sul disturbo da uso di sostanze con la sua seconda moglie, Marian Fischman, un’importante ricercatrice sulle tossicodipendenze. Questo “è diventato uno dei programmi di ricerca più grandi e di successo nel suo genere negli USA. Alla sua morte era professore di psichiatria e direttore emerito della divisione”, continua la giornalista del NYT.
Fondò anche il National Center on Addiction and Substance Abuse (ora chiamato Center on Addiction) insieme a Joseph Califano Jr., ex Segretario per la Salute, l’istruzione e il benessere all’epoca del presidente Jimmy Carter.
“La sua eredità”, ha affermato Califano in una nota, “saranno le generazioni formate di professionisti che porteranno avanti il suo lavoro e le migliaia di vite che sono state salvate“.
È oggi incredibile, ma la sua esperienza alla prigione di Lexington lo aveva inizialmente scoraggiato dalla prospettiva di trattare, e curare, la tossicodipendenza. Mentre era lì, apprese infatti che il 90 per cento delle persone tornava alla droga, entro tre mesi dalla fine del trattamento.
L’eredità di Kleber
Nel 2015 in una lezione per la Columbia, lo stesso Kleber disse: “l’ultima cosa al mondo che volevo fare era curare la dipendenza”. Ma anche che “una volta passato da Lexington, eri un uomo segnato”. Tossicodipendenti che volevano aiuto, dottori che volevano qualcuno a cui fare riferimento, genitori preoccupati per i loro figli lo cercavano. “Finalmente, dopo circa un anno, mi sono detto… beh, forse è il destino”.
Anni dopo la sua esperienza all’amministrazione George H. W. Bush, gli fu chiesto come mantenesse il suo ottimismo dopo così tanti decenni di lavoro con i tossicodipendenti.
Come riportò la Seelye alla fine del suo articolo sul NYT, Kleber rispose con una parafrasi del Talmud, uno dei testi sacri dell’ebraismo: “La giornata è breve. Il compito è difficile. Non è nostro dovere finirlo, ma è vietato non provarci.”
Morì a Santorini, il 5 ottobre del 2018, a seguito di un attacco di cuore, mentre era in vacanza con la famiglia.
Di fatto, Kleber ha salvato molte vite umane. Un numero che forse non sarà mai stimabile con certezza. Basti pensare che, oggi, dalla tossicodipendenza se ne esce grazie alla evoluzione e applicazione del suo approccio. Un approccio legato al trattamento, la cura, la ricerca scientifica sui risultati effettivi. Anziché la pura e semplice repressione moralizzatrice, che serve a poco o nulla.
La foto di copertina è tratta da questo video youtube:
Immagine dello Yale College nel testo tratta da Wikipedia. By Daniel Bowen – Yale University Manuscripts & Archives Digital Images Database [1], Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=10530456